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Angioplastica o terapia medica nell'infarto miocardico con coronaria persistentemente occlusa?
Inserito il 28 giugno 2007 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Nei pazienti che dopo un infarto miocardico hanno una coronaria persistentemente occlusa a 3-28 giorni l'angioplastica con impianto di stent non si è dimostrata superiore alla terapia medica nel ridurre gli esiti clinici a 4 anni.



In questo studio sono stati reclutati 2166 pazienti stabili che avevano avuto un infarto miocardico e che, da 3 a 28 giorni dopo il fatto acuto, mostravano la coronaria afferente la zona infartuata ancora occlusa. I pazienti erano ad alto rischio o perchè avevano una frazione di eiezione ventricolare sinistra inferiore al 50% oppure perchè vi era un'occlusione prossimale. Dopo randomizzazione i partecipanti sono stati trattati con angioplastica e stent (PCI = Intervento Coronarico Percutaneo) associati a terapia medica ottimale (n = 1082) oppure a sola terapia medica ottimale (n = 1084). L'end-point primario dello studio era composto da morte, reinfarto miocardico o comparsa di scompenso cardiaco (classe IV NYHA).
Dopo un follow-up di 4 anni l'end-point primario si verificò nel 17,2% del gruppo PCI e nel 15,6% del gruppo controllo (HR 1,16; IC95% 0,92-1,45; P = 0,20).
L'infarto (fatale e non) si verificò rispettivamente nel 7.0% e nel 5,3% (HR 1,36; IC95% 0,92-2,0; P = 0,13); l' infarto non fatale fu di 6,9% vs 5,0% (HR 1,44; IC95% 0,96-2,16; P = 0,08) mentre solo 6 reinfarti potevano essere riferiti alla procedura della PCI.
La frequenza di scompenso cardiaco in fase IV (4,4% vs 4,5%) e di decessi (9,1% vs 9,4%) furono simili tra i due gruppi.
Gli autori concludono che nei pazienti stabili colpiti da infarto miocardico che a distanza di 3-28 giorni continuano ad avere la coronaria occlusa la PCI non riduce, a 4 anni, la morte, il reinfarto e lo scompenso cardiaco rispetto alla terapia medica ottimale.

Fonte:
Hochman JS et al. for the Occluded Artery Trial Investigators. Coronary Intervention for Persistent Occlusion after Myocardial Infarction. N Engl J Med 2006 Dec 7; 355:2395-2407.


Commento di Renato Rossi

Come fa notare un editorialista commentando lo studio, nel paziente colpito da infarto miocardico la precoce riapertura del vaso occluso (con trombolitico o con angioplastica) migliora la funzionalità ventricolare sinistra e la mortalità. Tuttavia la finestra temporale per questi interventi è di solito fissata attorno alle 12 ore anche se nello studio ISIS 2 [1] la riduzione della mortalità era evidente anche per le riperfusioni ottenute dalla 13° alla 24° ora. Questo ha portato all'ipotesi nota come "l'arteria aperta": la riperfusione coronarica del vaso occluso potrebbe essere utile anche se viene ottenuta giorni o settimane dopo l'evento acuto. Studi di tipo retrospettivo corroboravano questa ipotesi e avevano suggerito che la persistenza della occlusione portasse ad un aumento dei decessi aritmici. E' così entrata nell'uso corrente la pratica, per i pazienti infartuati che erano stati trattati inizialmente solo con terapia medica, di eseguire una coronarografia con successiva PCI nel caso l'esame avesse dimostrato una persistente occlusione dell'arteria. Finora tuttavia non era mia stato eseguito uno studio randomizzato e controllato che testasse l'ipotesi dell'arteria aperta.
Il trial recensito in questa pillola è stato disegnato con lo scopo di paragonare l'angioplastica con impianto di stent versus terapia medica ottimale in pazienti infartuati trattati inizialmente in maniera conservativa e nei quali una coronarografia eseguita a distanza di 3-28 giorni dall'evento acuto mostrava una persistenza della occlusione coronarica. A distanza di 4 anni non c'erano differenze statisticamente significative tra PCI e terapia medica ottimale, anche se vi era un trend migliore per la terapia medica. Lo studio dovrebbe quindi portare ad un ripensamento della strategia nei pazienti infartuati trattati in maniera conservativa, visto che il trattamento medico ottimale ottiene gli stessi risultati dell'approccio invasivo. Questo non significa che non si debba più ricorrere alla coronarografia e all'angioplastica che rimangono ovviamente importanti nei malati in cui vi sia un'ischemia residua nonostante la terapia medica massimale oppure che non tollerano o hanno controindicazioni per i farmaci (soprattutto i beta-bloccanti, dato che in un piccolo studio osservazionale [2] si è visto che la terapia con tali farmaci è utile nel ridurre la mortalità in questa tipologia di malati).
Recentemente, al congresso mondiale di Cardiologia (Barcellona, settembre 2006) il dr. Salim Yusuf [3] si è espresso contro una specie di moda collettiva che sta colpendo il mondo cardiologico, con la tendenza a sottoporre ad angioplastica (con o senza stent) pazienti stabili responsivi al trattamento medico. Quest'ultimo studio sembra dargli ragione in pieno.


Referenze

1. ISIS-2 (Second International Study of Infarct Survival) Collaborative Group. Randomised trial of intravenous streptokinase, oral aspirin, both, or neither among 17,187 cases of suspected
acute myocardial infarction: ISIS-2. Lancet 1988;2:349-60.
2. Glamann DB et al. Beneficial effect of longterm beta blockade after acute myocardial infarction in patients without anterograde flow in the infarct artery. Am J Cardiol 1991;68:150-4.
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2709

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