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Nell'angina più morti ed IMA con gli stent medicati ? |
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Inserito il 05 settembre 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
In base ai risultati sorprendenti di alcune meta-analisi, gli stent medicati di prima generazione sarebbero associati ad esiti peggiori rispetto a quelli standard.
Alcune metanalisi indipendenti, realizzate su pool di pazienti arruolati in Trials sponsorizzati dalle stesse aziende produttrici, sono state presentate al congresso mondiale di cardiologia di Barcellona. I risultati indicano che gli stent medicati di prima generazione (DES), specialmente quelli con sirolimus, sono associati a peggiori esiti in termini di mortalità ed eventi cardiovascolari rispetto agli stent standard in metallo, Nella prima metanalisi i ricercatori hanno considerato mortalità ed IMA Q facendo un pooling di pazienti sulla base del follow-up. A partire dagli 8-9 mesi di follow-up fino ad uno, due e tre anni, l'indice che considera mortalità e IMA è risultato del 30-40% maggiore nei pazienti trattati con DES eluente sirolimus rispetto ai controlli trattati con stent in metallo. Una tendenza simile è stata osservata, anche per i DES eluenti paclitaxel, ma la differenza a 3 anni rispetto ai bare metal è stata solo del 5% . Nella seconda metanalisi il pooling dei pazienti partecipanti ai trials randomizzati è stato effettuato in base ai dati di follow-up più recenti attualmente disponibili. I risultati indicano che gli eventi avversi gravi sono stati pari al 6.3% nel gruppo sirolimus rispetto al 3.9% riscontrato nel gruppo bare-metal-stent (p=0.03). Per i trials riguardanti il paclitaxel i risultati sono stati rispettivamente del 2.6% vs 2.3% (p=NS). Pertanto i ricercatori concludono che morti ed IMA Q, come espressione di trombosi intrastent, sono più fequenti con i DES di prima generazione che con gli stent in semplice metallo e che tale tendenza si verifica con entrambi i DES, ma l'entità del fenomeno sembra più evidente con quelli eluenti sirolimus. Pertanto è opportuna una valutazione del rapporto rischio beneficio della strategia di applicare sistematicamente DES di prima generazione nella malattia coronarica.
Un ulteriore metanalisi è stata effettuata combinando i dati di 17 RCT riguardanti DES eluenti paclitaxel o sirolimus al fine di valutare mortalità totale, cardiaca, e non cardiaca. Mentre ad un anno la mortalità totale mostra una tendenza favorevole ai DES, a due, tre e quattro anni essa appare più elevata nel gruppo trattato con DES rispetto a quella osservata nel gruppo trattato con stent in metallo. La mortalità cardiaca è risultata simile con entrambi i DES considerati rispetto al bare metal, mentre quella non cardiaca a 2 e 3 anni mostra un incremento nei pazienti trattati con DES eluenti sirolimus per aumento dei cancri, ictus e malattie polmonari. Gli autori concludono che i DES, valutati sul medio-lungo periodo, non diminuiscono la mortalità rispetto agli stent in metallo e che alcuni dati preliminari, che necessiteranno di ulteriori studi, indicano un aumento della mortalità non cardiaca nei pazienti trattati con DES eluenti sirolimus. Gli Autori hanno anche evidenziato come sia stato difficile ottenere i dati di mortalità dalle aziende sponsor degli RCT considerati ed hanno sottolineato l'esigenza di condurre trials indipendenti.
Il Dottor Salim Yusuf ha chiarito che sono necessari ampi registri per saggiare la reale portata del profilo dei DES in condizioni reali, ma ha soprattutto tuonato contro una sorta di epidemia di pazzia che attraverserebbe tutto il mondo per la tendenza in atto a trattare con PCI (quindi indipendentemente dal posizionarre DES o bare metal stents) anche la malattia anginosa stabile e non refrattaria al trattamento farmacologico. Secondo Yusuf la PCI dovrebbe essere principalmente riservata al trattamento dell'angina instabile o refrattaria al trattamento farmacologico. I dati di questa metanalisi sarebbero pertanto sconcertanti in quanto pur necessitando di conferme, tuttavia si aggiungono ai dubbi generati dalla mancanza di dati a favore dei DES. Yusuf ha affermato che tutti gli studi stanno confermando che l'enfasi posta sulla restenosi è fuorviante in quanto la restenosi ha scarso valore prognostico ed ha auspicato l'istituzione di un comitato indipendente internazionale ma in cui non siano presenti solo emodinamisti, ma anche cardiologi non interventisti, rappresentanti dei pazienti e delle istituzioni al fine di valutare in modo indipendente quale debba essere il ruolo dei DES nel trattamento della malattia coronarica.
Fonte: Shelley Wood; www.theheart.org
Commento di Luca Puccetti
I risultati, specie per temi di così vasta importanza, vanno sempre valutati sulla base di studi pubblicati dopo il processo di peer review e dunque ogni considerazione fatta sulla base di comunicazioni, sia pure presentate al congresso mondiale di cardiologia, deve essere espressa con le dovute cautele. Alcuni elementi sono tuttavia meritevoli di una riflessione 1) la tendenza sistematica ad applicare DES o bare metal stents nell'angina stabile e non refrattaria è una strategia da valutare con attenzione mediante registri e studi ad hoc valutati da ricercatori indipendenti 2) la restenosi è un problema, ma l'attenzione non deve essere focalizzata solo su questo tema anche perché scarsamente predittivo per gli eventi maggiori 3) i risultati preoccupanti delle metanalisi valgono soprattutto per il DES al sirolimus, mentre quello al paclitaxel sembra non fornire vantaggi rispetto al metallo 4) la doppia antiaggregazione deve essere protratta a lungo dopo un posizionamento di DES, ma questa terapia non azzera affatto i rischi di stenosi tardiva
Pur con le cautele esplicitate occorre considerare che altri studi mettono in dubbio l'utilità dei DES, almeno in alcune situazioni. Uno studio longitudinale è stato realizzato al fine di valutare il tasso di restenosi tardiva in 1,911 pazienti consecutivi, cui era stato impiantato un DES (sirolimus stents 1,545 pazienti, 2,045 lesioni; paclitaxel stents 366 pazienti, 563 lesioni). Durante il follow-up (durata media 19.4 mesi) l'incidenza di trombosi dello stent è stata del 3.3% (4 su 121) in quei pazienti che avevano completamente interrotto la terapia antiaggregante (vs 0.6% in quelli che non l'avevano interrotta, p = 0.004) e 7.8% (5 su 64) che avevano inteterrotto prematuramente l'aspirina il clopidogrel od entrambi (vs 0.5% rispetto a quelli che non l'avevano interrotta, p <0.001). Questo studio rafforza, in parte, le conclusioni del registro, recentemente pubblicato, PREMIER (Prospective Registry Evaluatring Myocardial Infarction: Events and Recovery) comprendente pazienti con IMA cui era stato posizionato uno stent medicato (DES). In pratica la doppia antiaggregazione deve essere protratta a lungo dopo un posizionamento di DES, ma questa terapia non azzera affatto i rischi di stenosi tardiva. Occorre dunque un' attenta selezione dei pazienti, che specie se di basso grado culturale sono a rischio di interruzione precoce della doppia terapia antiaggregante, per non rischiare di impiantare inutilmente stent costosi e che necessitino di un' altrettanto costosa e prolungata doppia terapia antiaggregante che purtroppo viene spesso prematuramente interrotta dal paziente che si espone ad un maggior rischio di trombosi rispetto a quello cuei sarebbe stato esposto se avesse ricevuto uno stent non medicato.
Bibliografia 1) Circulation. 2006; 113: 2803-9 2) De Luca G. : DES or non DES in angioplastica primaria: questo è il problema!!! www.infarto.it accessed on 24-07-2006. 3) Lancet 2004; 364: 1519-21 4) De Luca G, Carbone G, Maione A, Gregorio G. In-stent thrombosis after discontinuation of antiplatelet therapy 2 years after DES implantation: A case report. Int J Cardiol 2006 (in press) 5) QJM 2005; 98: 633-41 6) Heart 2005; 91: 641-5 7) Am J Cardiol. 2006 Aug 1;98(3):352-6
Commento di Renato Rossi
Uno dei problemi dell'angioplastica è la restenosi della coronaria trattata, a cui si è cercato di porre rimedio con l'impianto di stent. Dapprima si sono usati stent di metallo non medicati (cosiddetti stent bare metal) e successivamente stent eluenti farmaci (sirolimus, paclitaxel). Questi farmaci riducono la proliferazione di linfociti e cellule muscolari, proliferazione che è responsabile della restenosi. In uno studio su 160 pazienti diabetici [4] affetti da stenosi coronarica randomizzati a stent al sirolimus oppure a stent metallico standard, dopo un follow-up di 9 mesi, gli eventi cardiovascolari maggiori (morte cardiaca, necessità di rivascolarizzazione coronarica e trombosi dello stent) furono significativamente minori nel gruppo trattato con stent medicato (10,0% vs 36,3%; P < 0,001). In un altro studio su 1058 pazienti con lesioni coronariche complesse l'end-point primario a 270 giorni (morte cardiaca, infarto miocardico e necessità di rivascolarizzazione) fu ridotto dal 21% dello stent standard all'8,6% dello stent al sirolimus [5]. In uno studio su 257 pazienti randomizzati a stent al sirolimus oppure stent standard la percentuale di rivascolarizzazioni e di infarto a 8 mesi (end-point secondari) fu minore nel gruppo DES [6]. Nel TAXUS-IV, su 1314 pazienti, dopo 9 mesi, la frequenza di interventi di rivascolarizzazione per restenosi fu del 11.3% nel gruppo stent standard e del 3% nel gruppo a cui era stato posizionato lo stent al paclitaxel (p< 0.001), ma nessuna differenza si registrò per quanto riguardava un end-point composto da morte per cause cardiache e infarto miocardico. Una metanalisi di 11 trials [1], per un totale di 5103 pazienti, dimostrava che gli stent medicati riducono la restenosi e gli eventi cardiaci maggiori rispetto agli stent standard ma non c'erano differenze per quanto riguarda la mortalità totale e l'infarto miocardico. Tuttavia gli autori di questa meta-analisi concludevano che non è possibile trarre conclusioni definitive a lungo termine essendo necessari studi con follow-up più prolungato per poter definire meglio il ruolo di questi nuovi dispositivi. In generale comunque la superiorità degli stent medicati rispetto agli stent standard era data per acquisita dopo che una seconda meta-analisi [7] di 8 RCT, per un totale di 3.860 pazienti, aveva dimostrato che essi riducono gli interventi di rivascolarizazione percutanea e di by-pass coronarico e tutti gli eventi clinici avversi maggiori e non sono associati ad un aumento del rischio di trombosi intrastent o di morte. Per quanto riguarda i due tipi di DES, secondo una meta-analisi, gli stent al sirolimus hanno una percentuale di restenosi e di rivascolarizzazioni del vaso interessato minore rispetto agli stent al paclitaxel, ma gli altri esiti clinici (morte, infarto) sono simili tra i due dispositivi [3]. Anche dallo studio REALITY risulta che non ci sono differenze fra stent al sirolimus e al paclitaxel per quanto riguarda gli eventi cardiovascolari maggiori [8]. In questo studio la frequenza di stenosi era simile tra i due tipi di stent. I dati delle due meta-analisi presentate e Barcellona sono quindi sorprendenti anche se recentemente erano stati pubblicati i risultati derivanti dal registro PREMIER (Prospective Registry Evaluatring Myocardial Infarction: Events and Recovery) comprendente pazienti con IMA cui era stato posizionato uno stent medicato e che avevano dimostrato che nei DES è necessaria una doppia antiaggregazione protratta per almeno 12 mesi, pena un drammatico aumento delle riocclusioni per trombosi subacuta [2]. I farmaci antiproliferativi rilasciati dallo stent infatti inibiscono la formazione di endotelio tra le maglie dello stent stesso per un periodo che dura circa 2 anni dopo l'impianto. Viene prodotto in tal modo un substrato protrombotico per cui è necessario ricorrere alla associazione aspirina + clopidogrel per periodi prolungati onde evitare il formarsi di una trombosi acuta dello stent. I risultati negativi delle due meta-analisi svizzere potrebbero in parte dipendere dal fatto che in alcuni studi non si è attuata una duplice antiaggregazione adeguata? Bisognerà aspettare la loro pubblicazione prima di esprimere un giudizio più articolato. Si sa infatti che le meta-analisi sono uno degli strumenti più potenti della EBM ma anche dei più delicati. E' necessario che esse siano eseguite secondo criteri metodologici di qualità (valutazione di pubblication bias, ricerca di studi non pubblicati, esame qualitativo degli studi presi in esame, tecnica di pooling adeguata, valutazione della eterogeneità degli studi, ecc.). In attesa che gli esperti di critical appraisal le passino al pettino fitto, cosa si può dire? E' auspicabile una valutazione accurata da parte delle società cardiologiche internazionali dei rischi e dei benefici dei vari tipi di stent e forse sarebbe il caso di intraprendere un ampio studio indipendente, non sponsorizzato, che paragoni tra loro DES e "bare metal". E' del tutto condivisibile anche l'auspicio del dr. Salin Yusuf della McMaster University che vede nell'esame dei vari registri un aiuto per dissipare la complessa matassa.
Bibliografia 1. Babapulle MN et al. A hierarchical Bayesian meta-analysis of randomised clinical trials of drug-eluting stents Lancet 2004 Aug 14; 364: 583-91 2. Circulation. 2006; 113: 2803-9 3. Kastrati A et al. Sirolimus-Eluting Stents vs Paclitaxel-Eluting Stents in Patients With Coronary Artery Disease Meta-analysis of Randomized Trials. JAMA. 2005 Aug 17; 294:819-825. 4. Circulation 2005;112:2175-2183. 5. Moses J.W. et al. Sirolimus-Eluting Stents versus Standard Stents in Patients with Stenosis in a Native Coronary Artery. N Engl J Med 2003; Oct 2; 349: 1315-1323 6. Ardissino D et al for the SES-SMART Investigators. Sirolimus-Eluting vs Uncoated Stents for Prevention of Restenosis in Small Coronary Arteries. A Randomized Trial . JAMA. 2004 Dec 8; 292:2727-2734. 7. Indolfi C et al. Drug-eluting stents versus bare metal stents in percutaneous coronary interventions (a meta-analysis). American Journal of Cardiology, 2005;95(10):1146-1152. 8. Morice M-C et al. for the REALITY Trial Investigators. Sirolimus- vs Paclitaxel-Eluting Stents in De Novo Coronary Artery Lesions . The REALITY Trial: A Randomized Controlled Trial. JAMA. 2006 Feb 22; 295:895-904. 9. Stone G.W. et al., for the TAXUS-IV Investigators. A Polymer-Based, Paclitaxel-Eluting Stent in Patients with Coronary Artery Disease. N Engl J Med 2004 Jan 15; 350:221-231 .
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