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La fine della medicina generale ?
Inserito il 28 settembre 2006 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In USA le preferenze dei medici per la medicina generale stanno crollando a favore delle specialistiche.


L' American College of Physicians ha recentemente ammonito che "la medicina generale, spina dorsale del sistema sanitario nazionale USA è a grave rischio di collasso".(1)
Le cause sono molteplici, mentre i pazienti sono insoddisfatti specialmente per il lungo tempo che necessita prima di essere visitati, i medici generalisti sono insoddisfatti per il compito, che è sempre più arduo, e per le paghe ritenute largamente insufficienti. La maggioranza dei pazienti preferisce ancora rivolgersi in prima battuta ai medici di famiglia, (2) ma sta crescendo l'insoddisfazione verso le cure primarie.(3) I medici generalisti si lamentano che quanto viene loro richiesto, ossia di padroneggiare una materia così vasta, supera le capacità umane dovendo, per di più, avere a che fare anche con pazienti che talora nemmeno parlano inglese.
Il sistema basato sul rimborso a volume di prestazioni non privilegia la qualità e spinge ad inserire moltissimi pazienti nelle agende di prenotazione e necessariamente spinge verso visite brevi che divengono possibili solo dopo lunga attesa.
La cronicità sta aumentando sempre più ed emerge la necessità di controllare non solo le patologie ma le condizioni a rischio, discutendone con i pazienti al fine di modificare i fattori di rischio. Poiché i generalisti americani sono pagati anche in base alla loro capacità di svolgere questi compiti in modo efficace, si è calcolato che solo per questi controlli dei fattori di rischio e per li consigli relativi un generalista USA, che assista 2500 assistiti (la media per medico in USA è 2300), dovrebbe dedicare ogni giorno 10,6 ore più altre 7,4 ore per fornire cure EBM. (4)
Questi compiti immani allungano i tempi di attesa e spingono i pazienti a saturare i servizi di emergenza. Molti pazienti con ipertensione e diabete non riescono nemmeno a comprendere quello che il medico dovrebbe aver loro spiegato in merito a come comportarsi e molti non sono adeguatamente trattati. (4,5)
Una procedura diagnostica o terapeutica specialistica di 30 minuti viene rimborsata tre volte i 30 minuti dedicati alla visita di un paziente con diabete o scompenso. I proventi medi di uno specialista nel 2004 sono stati almeno doppi rispetto a quelli di un generalista e la differenza sta aumentando. I dati provenienti dal Medical Group Management Association indicano che dal 1995 al 2004, i proventi del generalista sono aumentati in media del 21,4 percento, quelli dello specialista del 37,5 percento. Un rapporto del 2006 dal Center for Studying Health System Change evidenzia che, dal 1995 al 2003, i proventi aggiustati per l'inflazione sono diminuiti del 7,1 percento per tutti i medici , ma del 10,2 percento per i generalisti. L'aumento del 5 percento nei pagamenti del Medicare per le cure primarie, annunciato nel Giugno 2006, è insufficiente a diminuire il gap.
Tutti questi fattori hanno determinato il risultato che sempre meno studenti stanno scegliendo le cure primarie.(1) Tra il 1997 e il 2005, il numero di laureati che è entrato nelle medicine di base è calato del 50 percento. Nel 1998, la metà degli studenti di medicina interna sceglieva le cure primarie; attualmente circa l' 80 percento sceglie le specialistiche.(1)
Ciò che più è grave è che tali tendenze si stanno manifestando in un momento in cui ci sarebbe sempre più bisogno di cure primarie proprio a causa dell'invecchiamento della popolazione e l'aumento della cronicità. Alcuni studi hanno dimostrato che sistemi basati sulle cure primarie possono ridurre i costi mantenendo la qualità dell'assistenza.Le ospedalizzazioni per diagnosi che potrebbero essere gestite nell'ambito delle cure primarie sono più frequenti proprio in quelle aree in cui è più difficile l'accesso alle cure primarie e gli Stati con pochi generalisti e molti specialisti hanno una spesa più elevata per le principali diagnosi.(1)
Il rimedio proprosto da Dr. Bodenheimer, professore al Center for Excellence in Primary Care in the Department of Family and Community Medicine, dell' Università della California, a San Francisco sarebbe quello di lasciare a personale non medico o paramedico alcuni compiti routinari e la cura delle condizioni più semplici e di aumentare il personale tecnico in modo da sviluppare ed implementare sistemi basati su portali web e sull'utilizzo delle e-mail.

Fonte: NEJM, 2006; 355:861-864

Commento di Luca Puccetti

Nihil novum sub sole. Anche in USA sta accadendo quello che è in atto nel Regno Unito ed in altri paesi, ossia una progressiva, ineluttabile disaffezione dei medici verso le cure primarie. Questa tendenza in Italia ancora non si registra con la stessa intensità per l'enorme pletora generata, ad arte, negli anni 80 e 90. Da una parte il corpus delle conoscenze tecniche giuridiche, ma anche delle capacità e relazionali diventa sempre più insostenibile per un singolo, dall'altra la cronicità e l'invecchiamento aumentano a dismisura il carico di lavoro. L'aver spostato l'attenzione dalla condizione clinica patologica al rischio di sviluppare un evento è stata operazione largamente sospinta dalle ditte che producono beni e servizi in questo ambito, attraverso una campagna mediatica costante, potente e giocata spesso sulle corde del facile sentimentalismo e degli slogan. La ricerca della condizione di rischio (tipico il caso dello screening del PSA) rischia in molti casi di non apportare affatto benefici, ma è sicuramente foriera di enormi spese per il sistema ed ingolfa l'attività del medico che potrebbe più utilmente applicarsi altrove. I medici specialisti non sono indenni da responsabilità, in quanto hanno spesso giocato il ruolo dell'esperto che professa il credo, così apparentemente saggio da apparire financo ovvio, che "prevenire è meglio che curare". Per prevenire occorrerebbe, naturalmente, fare visite specialistiche precocemente, effettuare esami strumentali e di laboratorio prima che si manifesti "il male" in modo da "prenderlo in tempo". Così si alimenta una spirale perversa che aumenta il consumismo sanitario producendo scarsi benefici per la salute collettiva. Ma anche i generalisti hanno le loro colpe non avendo compreso per tempo che occorreva un nuovo modello organizzativo del lavoro e che questo non poteva essere fatto gradualmente e lentamente, pena il rischio di arrivare tardi. Piuttosto che gettare l'enfasi sulla necessità di erogare servizi sociali più che sanitari era necessario riqualificare l'offerta e non proporre, come si è fatto in alcuni paesi, lo sviluppo della continuità delle cure, che spesso serve solo a giustificare l'incapacità a cambiare profondamente mentalità e modo di lavoro ed incoraggia i grandi consumatori di servizi sanitari che non vogliono tanto la qualità dell'atto, ma la comodità e la facilità di accesso a qualunque tipo di servizio purché sia. I responsabili della politica di un paese avanzato dovrebbero comprendere che è arrivato il momento di smettere di parlare di riequilibrio tra fondi destinati agli ospedali ed al territorio e che è arrivato davvero il momento di spendere sul serio risorse importanti sul territorio. Il MMG deve reimparare a gestire ambulatorialmente tutta una serie di situazioni cliniche cui non è più abituato, essendo state demandate alle cure specialistiche. Il riferimento comprende anche la prescrizione dei farmaci cosiddetti biologici, spesso di alto costo, la cui gestione in Italia è demandata solo al livello specialistico tanto che la cura di alcune patologie, come ad esempio l'epatite, l'insufficienza renale, le neoplasie, è completamente demandata al giudizio di pochissimi eletti, creando una sorta di analfabetismo di ritorno su queste condizioni morbose non solo a livello di cure primarie, ma anche specialistico laddove non c'è abilitatazione a prescrivere farmaci di alto costo a carico del SSN. Solo investendo seriamente si potranno creare le condizioni affinchè le "practice" abbiano finalmente personale ausiliario, tecnico ed infermieristico non residuale o pensionato come è adesso, data l' assoluta mancanza di prospettive di carriera per queste figure professionali. Solo dando certezza e continuità di normative e di finanziamenti si potranno avere investimenti in tecnologia, acquisizione di abilità strumentali e miglioramenti organizzativi necessari per fronteggiare in modo adeguato i tremendi compiti delle cure primarie. Fondamentale è cambiare il processo di pagamento dando valore al tempo che deve essere equiparato a tutti gli effetti ad una terapia. Il tempo dedicato ad ascoltare un paziente, a cercare di educarlo ad adeguare stili di vita incongrui è la cura. Una parte dei proventi dovrebbe dunque derivare non solo dalle visite fatte o dagli esami effettuati, ma anche da indici intermedi, di processo e, laddove possibile, di esito, fortemente predittivi di incidere positivamente sugli eventi. Un medico bravo che riesce a far diagnosi con poche analisi, poche TAC, poche RMN, poche spirometrie, ecografie, che riesce a non fare emigrare i propri pazienti verso le cosiddette "medicine non convenzionali", che ottiene buoni risultati su indici di qualità di cura per le grandi patologie deve necessariamente dedicare molto tempo all'ascolto e all'educazione e pertanto non solo non deve essere penalizzato, ma anzi deve essere premiato in termini di carriera e di guadagno. Dovrebbe essere prevista parimenti la possibilità di progredire nella carriera attraverso un'organizzazione diversa delle cure primarie e/o attraverso la creazione di dipartimenti in cui sia dedicato largo spazio anche all'insegnamento clinico, ma anche gestionale ed organizzativo. E' inoltre necessario affrontare la questione del rapporto tra Stato e cittadino nei riguardi della salute. Lo Stato non potrà mai fronteggiare tutti i crescenti bisogni dunque occorre istituire fondi sanitari integrativi ed applicare sistemi di disincentivazione verso gli stili di vita incongrui e le abitudini voluttarie dannose, vuoi in termini di maggior prelievo fiscale per i soggetti riluttanti, vuoi in termini di maggiore compartecipazione alla spesa ospedaliera e territoriale. Occorre anche ridare serenità a chi decide di impegnarsi in questo arduo campo, modificando il complesso nelle norme legislative e giurispudenziali che hanno determinato la caccia all'errore medico, vero o presunto, che alimenta sempre più la pratica improduttiva della medicina difensiva, foriera di enormi costi e di possibile selezione dei pazienti e che fa ingrassare stuoli di consulenti e legali, intasando i tribunali con cause spesso del tutto inconsistenti o pretenziose. La serenità comporta anche il cambiamento dei rapporti tra MMG ed assistito, allentando lo sbilanciamento attualmente esistente, almeno in Italia, tra i diritti dell'assistito, che può ricusare a suo piacimento, ed i doveri del medico. La strada imboccata dai recenti accordi nazionali e da alcuni accordi regionali di rivedere il rapporto tra massimale ed ottimale e di non far scattare automaticamente nuove zone carenti se non si verificano alcune condizioni sono timidi segnali nella giusta direzione, ma dovranno resistere a coloro che, come il garante per la concorrenza, hanno assurto a totem assoluto la concorrenza sfrenata. Infine l'informazione al pubblico su temi riguardanti la salute non può assolutamente contribuire, come troppo spesso è avvenuto anche su reti pubbliche, ad alimentare un vero e proprio consumismo sanitario, generando domanda impropria quando non anche pseudoallarme sociale. Occorre che le Società scientifiche siano i referenti dei professionisti dell'informazione, che troppo spesso si basano su pareri di consulenti che rimangono quasi sempre ignoti. l'obiettivo dovrebbe essere quello di garantire al pubblico un'informazione medico-sanitaria certificata da Enti ad hoc o Società Scientifiche ed esposta in modo corretto.

Referenze

1) American College of Physicians, January 30, 2006. (Accessed August 10, 2006, at http://www.acponline.org/hpp/statehc06_1.pdf)
2) JAMA 1999;282:261-266.
3) Ann Intern Med 2003;138:248-255.
4) Ann Fam Med 2005;3:209-214.
5) Annu Rev Public Health 1989;10:163-180.
6) Acad Med 2005;80:507-512.

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