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Pillole di EBM - Capitolo 3
Inserito il 02 luglio 2006 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

IL GRUPPO DI CONTROLLO, LA RANDOMIZZAZIONE E LA CECITA'

IL GRUPPO DI CONTROLLO


Nel precedente capitolo abbiamo visto come si può distinguere uno studio di intervento da uno studio osservazionale e abbiamo cominciato a prendere confidenza con alcuni termini un po' strani. Adesso è arrivato il momento di esaminare in dettaglio gli studi di intervento.
La prima domanda che ci dobbiamo porre è se esiste un gruppo di controllo.
Che cosa vuol dire questo?
Vuol dire che i pazienti arruolati (si dice anche reclutati ed è curioso l'uso di questi due termini che richiamano il linguaggio militare, quasi la partecipazione ad uno studio sia un obbligo di leva) sono stati divisi in DUE GRUPPI, a uno dei quali viene somministrato il farmaco da testare mentre all’altro un placebo (vale a dire della semplice acqua fresca) oppure un farmaco di confronto.
Se la risposta alla nostra domanda è positiva si tratta di uno STUDIO SPERIMENTALE CONTROLLATO, altrimenti abbiamo di fronte uno STUDIO SPERIMENTALE NON CONTROLLATO.
Per la verità la stragrande maggioranza degli studi pubblicati è di tipo controllato, mentre molto rari sono gli studi non controllati. Uno studio non controllato è quello in cui non esiste un gruppo di controllo. Un esempio potrebbe essere quello che volesse valutare l'efficacia dell'intervento chirurgico nella rottura degli aneurismi dell'aorta addominale. E' evidente che non si può usare un gruppo di controllo in cui non si fa nulla, per chiari motivi di tipo etico, in quanto un aneurisma aortico che si rompe, se lasciato a se stesso, porta a morte certa, per quanto mi risulta. In questo caso si dà quindi per scontato che nel gruppo di controllo,non trattato, la mortalità sia praticamente del 100%: se l'intervento chirurgico riuscisse a portare questa mortalità, poniamo, al 75%, potremmo dire che abbiamo ottenuto una riduzione della mortalità del 25%. Eventualmente si potrebbe prevedere solo un confronto tra due tipi diversi di intervento chirurgico, per vedere quale è più efficace. Però se in futuro si rendesse disponibile, per pura ipotesi, un trattamento di tipo non chirurgico che riuscisse a riparare la parete aortica che si sta rompendo (come si fa con certe bombolette che iniettano dentro lo pneumatico bucato una sostanza espandente che lo gonfia e contemporaneamente tappa il foro) si potrebbe pensare di avere anche in questa patologia un confronto tra l'intervento chirurgico e una terapia alternativa non chirugica.
Ritorniamo ora ai nostri STUDI CONTROLLATI.
In linea generale si può dire che al gruppo di controllo viene somministrato placebo, oppure un farmaco di riferimento quando ragioni etiche impediscono l’uso del placebo. Per esempio se si volesse determinare l’efficacia di una nuova statina negli infartuati, questa dovrebbe essere confrontata con una statina già commercializzata che ha dimostrato di ridurre la mortalità in questa tipologia di pazienti: non sarebbe etico usare un placebo. Nei primi studi sulle statine queste vennero paragonate al placebo semplicemente perché non era nota la loro efficacia (si poteva anche speculare che fossero inutili o dannose perché non è la prima volta che un farmaco si dimostra pericoloso); ma ora che la loro efficacia è stata ampiamente accertata è possibile organizzare solo studi che confrontino due statine diverse tra loro oppure una stessa statina a dosaggi diversi, per stabilire quale sia la dose più appropriata.

Abbiamo visto quindi che ci sono due gruppi di pazienti; il gruppo a cui viene somministrato il farmaco da studiare si chiama "BRACCIO INTERVENTO", il gruppo a cui viene somministrato il placebo o il farmaco di confronto si chiama "BRACCIO CONTROLLO".
Per comodità continuerò a parlare di farmaci, ma è evidente che l'intervento può essere anche di tipo diverso, per esempio chirurgico, psicologico, o altro (agopuntura, omeopatia).
Una annotazione circa gli studi che volessero determinare l'efficacia dell'agopuntura, che ci fa capire quanto debbano essere attenti gli autori nel loro disegno, pena essere sottoposti ad una valanga di critiche da parte degli esperti che lo valuteranno dopo la pubblicazione. Supponiamo di voler determinare se l'agopuntura funziona nella profilassi dell'emicrania meglio di un farmaco (per esempio un beta-bloccante). Allora arruolo un certo numero di pazienti e li divido in due gruppi. Ovviamente al gruppo intervento faccio l'agopuntura e a quello di controllo somministro il beta-bloccante. Attenzione però, se facessi così non eliminerei l'effetto placebo (sempre possibile) degli aghi. Se voglio fare uno studio come le regole comandano, al gruppo intervento devo fare l'agopuntura e somministrare contemporaneamente una pasticca di placebo che simuli il beta-bloccante, mentre al gruppo di controllo devo dare la pasticca di beta-bloccante e nello stesso tempo fare delle sedute di agopuntura simulata (in inglese sham acupuncture), vale a dire infilare degli aghi senza rispettare le zone dell' agopuntura tradizionale cinese. Solo in questa maniera i due gruppi saranno pienamente confrontabili.

Da quanto si è detto finora si capisce l'importanza del braccio di controllo: essa sta nel fatto che altrimenti è impossibile giudicare se i miglioramenti ottenuti dal trattamento sono dovuti all' evoluzione naturale della malattia, a un effetto placebo o a qualcosa d'altro che non conosciamo, come abbiamo visto negli esempi a proposito dei trabocchetti che ci può riservare l'esperienza, di cui si è parlato nel primo capitolo.
Un mio amico che di queste cose ne mastica più di me diceva: "Ricordati che chi corre da solo arriva sempre primo. Solo se gareggi con gli altri saprai il tuo valore reale, se sei un "figlio del vento" come Lewis o un povero brocco".

Un accenno solamente alle TECNICHE con cui vengono reclutati i pazienti negli studi perchè esse possono influire sui risultati finali o comunque sulla loro trasferibilità in clinica. Per esempio è abbastanza frequente prevedere una prima fase di "epurazione" delle liste (se mi si passa questo termine). Così in uno studio che vuol valutare l'efficacia di una statina nel ridurre l'infarto si prevede una fase di 8 settimane in cui tutti i soggetti arruolati assumono la statina e vengono poi scartati quelli in cui non si riesce ad ottenere una riduzione del colesterolo LDL di almeno il 20%. E' ovvio che facendo in questo modo "seleziono" per lo studio dei pazienti che sono responsivi al trattamento e che potrebbero non essere sovrapponibili a quelli visti nella pratica. Altri esempi: in uno studio su un farmaco antipertensivo si prevede una prima fase in cui vengono selezionati e scartati i pazienti in cui il trattamento non produce una diminuzione della pressione di almeno il 10%; oppure in una prima fase si scartano tutti i pazienti che non assumono almeno l'80% delle dosi del farmaco prescritto: è comprensibile come in questo modo vengano esclusi i pazienti poco complianti perchè il farmaco in esame produce troppi effetti collaterali oppure perchè hanno delle condizioni morbose associate che impediscono o rendono difficile la corretta assunzione del farmaco.
Come è facile immaginare esistono vari modi per reclutare dei pazienti. Uno è il cosiddetto "opt-out" in cui i partecipanti vengono invitati, per esempio con una lettera o con una telefonata, a partecipare al trial e se non rispondono i ricercatori possono contattarli nuovamente; un metodo alternativo invece è quello definito "opt-in" in cui se il paziente non risponde al primo invito si presume che non voglia partecipare e non lo si può contattare di nuovo. Ebbene, è stato dimostrato che i pazienti arruolati secondo la strategia "opt-in" sono in genere più sani di quelli arruolati tramite la tecnica "opt-out" e la cosa appare anche logica. Si capisce però che le popolazioni arruolate tramite "opt-in" possono non essere rappresentative dei pazienti reali.
Infine si possono prevedere dei criteri di inclusione e di esclusione dallo studio talmente numerosi che ben difficilmente i pazienti così selezionati corrispondono a quelli "veri" che vediamo tutti i giorni nei nostri ambulatori. Se per esempio in uno studio su un farmaco per il trattamento dello scompenso cardiaco io escludo tutti i soggetti con più di 65 anni, i diabetici, i nefropatici, quelli con importanti comorbidità (per esempio BPCO), c'è da domandarsi a quale paziente reale possano poi applicarsi i risultati ottenuti.




LA RANDOMIZZAZIONE


Abbiamo visto precedentemente che quando esaminiamo uno studio la prima cosa da vedere è se esiste un gruppo di controllo. Fatto questo bisogna chiedersi se la suddivisione nei due gruppi è avvenuta in maniera casuale (in gergo RANDOMIZZAZIONE), onde evitare che:
1. nel gruppo trattamento finiscano soggetti con prognosi basale migliore (il che farebbe credere che eventuali risultati superiori rispetto al controllo siano dovuti al farmaco e non al fatto che i soggetti erano già in partenza meno propensi ad ammalarsi)
2. nel braccio controllo vadano soggetti più ammalati e perciò più a rischio (anche in questo caso si sarebbe portati a ritenere che il trattamento sia più efficace del controllo).
Mi spiego con un esempio. Poniamo che io volessi reclutare i partecipanti ad uno studio su un nuovo farmaco anti-infarto fra i medici presenti ad un congresso sulla cardiopatia ischemica. Per decidere chi sottoporre a trattamento attivo e chi a placebo divido i soggetti in due gruppi: nel primo gruppo entrano tutti quelli che non portano giacca e cravatta e a loro darò il farmaco, nell'altro gruppo entrano tutti quelli che portano giacca e cravatta e a loro darò il placebo. Alla fine dello studio trovo che il farmaco ha prodotto meno infarti del placebo. Sono assolutamente sicuro che questo risultato sia dovuto al farmaco? In realtà no, perché potrebbe essere che chi si veste in maniera più tradizionale sia anche più anziano di chi si veste in modo più informale. Potrebbe così essere successo che nel gruppo che ha assunto placebo siano andati molti più anziani e nel gruppo che ha assunto farmaco molti più giovani. I risultati trovati non sono quindi dovuti al trattamento ma semplicemente al fatto che i due gruppi non erano simili, NON ERANO CONFRONTABILI, e quello assegnato al placebo aveva già di base un rischio più elevato di infarto.
Proprio per evitare rischi del genere esistono delle metodiche validate per procedere ad una randomizzazione ottimale. Queste metodiche sono complesse, prevedono che ci siano dei numeri generati in modo random dal computer, che tali numeri siano poi associati ai pazienti in modo casuale, ecc.
Però in sostanza il metodo è assimilabile a questo che sto per descrivere. Si mettono in un sacchetto tanti bigliettini con ognuno un numero diverso (ogni numero è abbinato ad un paziente). In un altro sacchetto si mettono altrettanti biglietti in cui sta scritto F (per farmaco) e P (per placebo). Poi, con il classico bambino bendato si fa pescare un bigliettino dal primo sacchetto (quello dei pazienti) e un bigliettino dall'altro sacchetto (quello del trattamento) e li si abbina. In questo modo si è sicuri che la suddivisione dei pazienti sia del tutto dovuta al caso (a meno che il bambino non abbia la benda forata così da sbirciare e scegliere quali numeri abbinare al placebo e quali al trattamento, ma qui saremmo nella truffa).
Come facciamo a sapere se la suddivisione dei pazienti è stata effettuata con tecnica randomizzata? Di solito questa informazione può essere reperita già esaminando l'abstract dello studio e non richiede particolari competenze. Sapere invece se la randomizzazione è stata effettuata con tutte le regole previste è cosa più complessa, e su questa dovrebbero indagare gli esperti che si occupano per mestiere di queste cose quando fanno il pelo e il contropelo alla qualità metodologica dello studio.

Fino a questo punto siamo riusciti quindi a stabilire che ci troviamo di fronte uno studio sperimentale, controllato e randomizzato. In gergo questi studi vengono identificati, come abbiamo già anticipato, con la ormai nota sigla RCT (Randomized Controlled Trial), sigla che per noi ora non ha più segreti.




LA CECITA'


Questo è un altro aspetto degli studi di intervento estremamente importante e che è diventato molto popolare tra i medici. Spesso gli Informatori del Farmaco, per vantare l'efficacia superiore del loro prodotto, citano qualche studio e non mancano di rimarcare il fatto che si tratta di uno studio in doppio cieco.
Ma cosa s’intende per CECITA' di uno studio?
Con questo termine si vuol dire che il medico sperimentatore non sa che tipo di trattamento sta somministrando (cioè non sa se a quel particolare paziente sta dando farmaco o placebo); nello stesso tempo anche il paziente è cieco e non sa se sta assumendo farmaco o placebo. Si definisce questo tipo di situazione DOPPIO CIECO (cieco il medico e cieco il paziente).
Perché dicevo che questo è un aspetto molto importante da valutare in uno studio?
L’importanza della cecità deriva dal fatto che se il medico sa che tipo di trattamento sta somministrando potrebbe essere influenzato nella raccolta dei dati. Si pensi per esempio se si devono raccogliere dati circa la situazione psicologica del paziente dopo aver somministrato un antidepressivo o un placebo: se il medico sa che quel determinato paziente ha assunto placebo può esserne influenzato (anche in modo del tutto inconscio) e concludere che non ha avuto miglioramenti dalla terapia, mentre potrebbe inconsciamente ritenere e registrare dei benefici maggiori per i pazienti che hanno assunto il farmaco. Questo vale soprattutto se ciò che si VUOL registrare nello studio sono degli end-point soggettivi (nel prossimo capitolo capiremo cosa sono gli end-point), conta meno o non conta se l'end-point registrato è oggettivo (per esempio il numero di ictus o di decessi che si verificano, perché questi non sono influenzabili dalle credenze del medico che sta raccogliendo i dati).
Lo stesso discorso vale ovviamente per i pazienti. Anche in questo caso se l'end-point è il numero di decessi non è che questo sia influenzabile da quello che crede o pensa il paziente, ma lo diventa se si tratta di registrare dei sintomi soggettivi come il dolore, le vertigini, la qualità di vita, eccetera.
In un certo senso però la mancanza di cecità potrebbe contare anche se l'end-point dello studio è il decesso: infatti chi sa che sta assumendo placebo potrebbe avere una compliance al trattamento inferiore di chi sa che sta assumento farmaco attivo.
Tuttavia la doppia cecità è importante anche per altri aspetti. Supponiamo che un soggetto arruolato in uno studio presenti un effetto collaterale: se il medico e il paziente sanno che sta assumendo farmaco attribuiranno ad esso l'effetto, se sanno che sta assumendo placebo potrebbero dargli meno importanza e non riferirlo (paziente) o registrarlo (medico).
La mancanza di cecità quindi può influenzare in certi contesti i risultati dello studio: è stato dimostrato che talora può portare a sovrastimare l'efficacia di un trattamento anche del 10-15%.
Ma come si fa a sapere se lo studio è in cieco? Di solito anche questa è una informazione reperibile facilmente dall'abstract.
In alcuni casi però non è possibile avere la doppia cecità. Per esempio uno studio si proponeva di determinare se l’artroscopia e il lavaggio articolare sono efficaci nella gonartrosi. Si tratta di un RCT in cui i pazienti vennero randomizzati all’intervento chirurgico di artroscopia oppure a un intervento simulato. In pratica i pazienti arruolati nel gruppo di controllo venivano portati in sala operatoria e si praticavano loro due piccole incisioni a livello del ginocchio in modo da simulare l’artroscopia, senza però eseguire nessun intervento. Evidentemente in questo caso i medici non potevano essere in cieco. Lo studio dimostrò che a distanza di 2 anni l’efficacia dell’intervento sul dolore e sulla limitazione funzionale era paragonabile al placebo chirurgico. La mancanza di cecità dei chirurghi è stata superata con un escamotage, facendo raccogliere i dati ad altri medici, diversi da quelli che avevano effettuato l’intervento e che non conoscevano che tipo di trattamento era stato praticato. Questo studio spiega bene sia l’importanza della cecità che del gruppo di controllo: se non ci fosse stato un controllo i miglioramenti evidenziati dopo l’intervento sarebbero stati ascritti a quest’ultimo mentre sono dovuti probabilmente alla evoluzione spontanea della malattia o all’effetto placebo dell’operazione stessa, che non si sarebbe potuto escludere se non ci fosse stata la doppia cecità (del paziente e del medico che raccoglieva i dati finali).


Renato Rossi

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