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Valsartan associato a minore insorgenza di diabete rispetto ad amlodipina
Inserito il 02 agosto 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Rispetto all'amlodipina il valsartan riduce il rischio di insorgenza di nuovi casi di diabete in pazienti ipertesi ad alto rischio.

Il diabete mellito tipo 2 è in aumento e tende ad aggregarsi con l'ipertensione nei soggetti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare. Scopo di un braccio dello studio VALUE era di valutare se una terapia con valsartan in soggetti ad alto rischio cardiovascolare prevenisse l'insorgenza di nuovi casi di diabete rispetto ad un trattamento con amlodipina. Lo studio ha coinvolto 9995 ipertesi ad alto rischio cardiovascolare, non diabetici, randomizzati a valsartan o amlodipina. Al fine di raggiungere i target pressori raccomandati era possibile associare altri agenti antipertensivi purché non appartenenti alle categorie dei sartani, degli ACE inibitori o dei calcio antagonisti. IUl follow-up è stato in media di 4,2 anni. I nuovi casi di diabete sono stati definiti come eventi avversi, necessità di associare un farmaco ipoglicemizzante o glicenia a digiuno > 7mmol/l (126 mg/dl). Nuovi casi di diabete sono stati riportati in 580 (11.5%) pazienti del braccio valsartan e in 718 (14.5%) del gruppo amlodipina (OR 0.77, 95% CI 0.69-0.87, P < 0.0001). Senza includere i casi etichettati come eventi avversi sono stati riscontrati nuovi casi di diabete in 495 (9.8%) pazienti del gruppo valsartan e in 586 (11.8%) di quello amlodipina (OR 0.82, 95% CI 0.72-0.93, P = 0.0015). Gli Autori concludono che rispetto all'amlodipina il valsartan riduce il rischio di insorgenza di nuovi casi di diabete in pazienti ipertesi ad alto rischio.

Fonte: J Hypertens. 2006 Jul;24(7):1405-1412.


Commento di Luca Puccetti

Lo studio Valsartan Antihypertensive Long-term Use Evaluation (VALUE) è stato già al centro di varie dispute. Lo studio, pubblicato da Lancet nel 2004, era stato disegnato per valutare se, a parità di controlo pressorio, il valsartan riducesse la mortalità e la morbilità cardiovascolare in misura maggiore rispetto all'amlodipina in ipertesi ad alto rischio cardiovascolare. Furono arruolati 15245 pazienti ipertesi ad alto rischio, trattati o non trattati per ipertensione, di età non inferiore a 50 anni. La durata dello studio era guidata dagli eventi nel senso che almeno 1450 pazienti dovevano raggiungere l'obiettivo primario, rappresentato da una combinazione di parametri relativi alla mortalità e morbilità. I risultati furono che amlodipina, specialmente nella prima fase dello studio, indusse una diminizione significativamente più marcata della pressione rispetto al valsartan ( pressione di 4.0/2.1 mm Hg più bassa nel gruppo amlodipina dopo 1 mese; 1.5/1.3 mm Hg dopo 1 anno; p<0.001 per il confronto tra gruppi). L'endpoint primario composito fu osservato in 810 pazienti del gruppo valsartan (10.6%, 25.5 per 1000 pazienti-anni) ed in 789 di quello amlodipina (10.4%, 24.7 per 1000 pazienti-anni; hazard ratio 1.04, 95% CI 0.94-1.15, p=0.49). Sempre 2004 un editoriale del BMJ metteva in guardia contro il rischio di un aumento significativo del 19% di infarto miocardico nel gruppo assegnato a valsartan. Tuttavia si glissava sul fatto che il varsartan riduceva la percentuale di ricoveri per scompenso cardiaco o, per l'appunto la comparsa di nuovi casi di diabete rispetto ad amlodipina. Proprio la diversa azione antipertensiva potrebbe spiegare il maggior numero di infarti nel braccio valsartan e nell'editoriale veniva ribadita l'importanza di raggiungere prontamente il controllo pressorio. Adesso lo studio recensito evidenzia una riduzione del rischio di insorgenza di diabete nei pazienti trattati con valsartan rispetto a quelli trattati con amlodipina. La cosa dovrebbe assumere maggior valenza considerando che l'amlodipina è ritenuta metabolicamente neutra, al contrario di quanto alcuni affermano a carico dei diuretici e dei betabloccanti, imputati (senza mai essere stati definitivamente condannati) di essere associati ad un peggior controllo metabolico.


Commento di Renato Rossi

I dati riportati da questa analisi dello studio VALUE non sono nuovi: già nel report originario dello studio [1] si menzionava il fatto che nel gruppo amlodipina c'era stata l'insorgenza di un maggior numero di nuovi casi di diabete.
Ricordiamo che l'end-point primario del VALUE era un outcome composto da morte cardiaca improvvisa, morte da cause cardiovascolari, scompenso cardiaco richiedente l'ospedalizzazione, l'infarto miocardico non fatale, procedure di emergenza per prevenire un infarto.
End-point secondari erano lo stroke fatale e non fatale, l'infarto miocardico, lo scompenso cardiaco e lo sviluppo di diabete.
Furono arruolati 15.245 pazienti (età >= 50 anni) con ipertensione (trattata o non) ed elevato rischio cardiovascolare ( i pazienti dovevano avere, oltre all'ipertensione, almeno altri tre fattori di rischio cardiovascolare), randomizzati ad una terapia basata su valsartan o amlodipina. La durata del trattamento era event-driven (letteramente evento-guidata, vale a dire gli autori stabiliscono che lo studio terminerà quando un certo numero di pazienti - in questo caso almeno 1450 - ha raggiunto l'end-point primario). Il follow-up è stato in media di 4,2 anni.
I risultati principali dello studio sono stati i seguenti:
1) nessuna differenza statisticamente significativa per l'end-point primario
2) l'incidenza di stroke era più bassa nel gruppo amlodipina ma non significativa
3) l'incidenza di infarto miocardico non fatale era significativamente più bassa nel gruppo amlodipina
4) vi era un trend, statisticamente non significativo, a favore di valsartan per quanto riguarda lo scompenso cardiaco
5) vi era un'incidenza minore di diabete di nuova insorgenza nel gruppo valsartan, significativa dal punto di vista statistico
Gli autori concludevano che i due trattamenti sono egualmente efficaci e che una eventuale differenza in qualche singolo outcome (per esempio infarto e stroke) potrebbe essere dovuta alla diversa riduzione della pressione che si osservò con i due regimi.
Non si conosce la ragione della diversa efficacia dei due farmaci nel ridurre la pressione. Forse dipende dal dosaggio del valsartan: nello studio si usava un dosaggio di 80-160 mg/die, ma la FDA ha approvato dosaggi fino a 320 mg/die nel trattamento dell'ipertensione.
Come interpretare lo studio?
Bisogna ancora una volta notare che il suo scopo e la sua potenza statistica erano rivolte alla valutazione dell'end-point primario, per cui l'unica conclusione metodologicamente corretta è che il confronto tra i due trattamenti ha dato un risultato di parità.
Basare qualsiasi altra valutazione sull'esame di end-point secondari può essere fuorviante, come si è sostenuto più volte [3]. Gli end-point secondari possono fornire informazioni aggiuntive in caso siano concordanti con l'end-point primario, in caso contrario bisogna usare sempre molta cautela e al più quello che risulta da un outcome secondario dovrebbe essere visto come un'ipotesi esplorativa da confermare con studi ad hoc disegnati. L' eventuale significatività statistica di un end-point secondario è solo "apparente" perchè tutto il potere "matematico" dello studio è diretto a misurare l'end-point primario e viene speso per questa valutazione, non essendocene altro disponibile per la valutazione degli esiti secondari [4]. Gli autori invece spesso e volentieri tendono a dare una interpretazione in qualche modo forzata dei loro studi, ignorando l'outcome primario se questo non è risultato diverso nei due gruppi testati ed enfatizzando uno o più end-point secondari. Forse un po' più di rigore metodologico non guasterebbe.
In ogni caso, anche limitandosi alla analisi degli end-point secondari, che cosa si dovrebbe dire? Se è vero che il valsartan produce meno casi di diabete di nuova insorgenza e forse riduce lo scompenso cardiaco è anche vero che l'amlodipina riduce di più gli infarti non fatali e forse lo stroke. Allora quale preferire? E' ovvio che il medico preferisce avere i vantaggi dell'uno e dell'altro nello stesso paziente, quindi la questione sembra mal posta.
Infine un annotazione polemica: a quando un trial che paragoni un sartano con il povero "clortalidone"?

Bibliografia

1. Lancet. 2004 Jun 19;363(9426):2022-31
2. BMJ 2004; 329:1248-1249
3. Battaggia A et al. Liberare la zia scema dalla soffitta. In: http://www.farmacovigilanza.org/corsi/060115-03.asp
4. Freemantle N. How well does the evidence on pioglitazone back up researchers' claims for a reduction in macrovascular events? BMJ 2005 Oct 8; 331:836-838

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