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Il rapporto ISTAT 2005 contiene una radiografia della sanità
Inserito il 30 maggio 2006 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Ancora divari tra Nord e Sud, più servizi territoriali e meno ospedalieri, continuano i viaggi della speranza con aumento della mobilità interregionale.

Il Servizio sanitario italiano è in fase di cambiamento: l'offerta ospedaliera, che rimane comunque quella principale, sta lasciando lo spazio ad altri tipi di servizi, più territoriali e residenziali. A livello regionale ci sono alcuni servizi che risultano più omogenei, come i centri unici per le prenotazioni (Cup) e i dDipartimenti nelle Asl, mentre rimangono differenze per quel che riguarda i posti di assistenza residenziale e semiresidenziale e la disponibilità di ambulatori e laboratori. L'indagine ha rilevato un calo dei posti letto ospedalieri e l'offerta di trattamento per pazienti con malattie acute è passata dai 47 posti letto ogni 10mila residenti del 1998 ai quasi 36 del 2003, i posti letto per riabilitazione o per lungodegenze sono calati da 6 a 5 ogni 10mila. A livello regionale, nel 2003, si è rilevata una sostanziale omogeneità nell'offerta ospedaliera per i malati acuti, e una elevata variabilità invece per i non acuti, con una disponibilità inferiore alla media in alcune regioni del Mezzogiorno, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana e Umbria. Si rileva una maggiore diffusione dei dipartimenti nelle Asl, dei Cup e dei servizi di assistenza domiciliare integrata, di ambulatori, saliti da 2,34 ogni 10mila residenti nel 1998 a 2,52 nel 2003, e dell'offerta dei posti letto in strutture residenziali e semiresidenziali. A livello territoriale rimane comunque il divario tra il Nord e il Centro-Sud.
L'analisi dell'Istat ha permesso inoltre di individuare quattro diversi tipi di Asl: a bassa offerta ospedaliera: con 87 aziende sanitarie, concentrate tra Puglia, Basilicata, Calabria e Sardegna, dove l'offerta ospedaliera è inferiore alla media nazionale e più consistente la migrazione sanitaria; a offerta ospedaliera elevata: con 76 Asl diffuse in tutto il Centro-Nord e lungo l'Adriatico fino al Molise, una presenza di ospedali superiore alla media e meno apparecchiature extra-ospedaliere e servizi di continuità assistenziale; a offerta extra-ospedaliera: con 19 Asl, concentrate in Campania e Sicilia, dove gli ambulatori privati convenzionati, diffusi in maniera capillare, svolgono una funzione complementare del sistema pubblico; grandi poli ospedalieri: coinvolge 14 Asl di grandi aree urbane (Milano, Padova, Bologna, Napoli, Cagliari, Pisa, Ancona e 3 di Roma) con offerta ospedaliera molto elevata, apparecchiature e dotazione di posti letto molto superiore alla media nazionale.
Secondo il rapporto non accennano a diminuire i "viaggi della speranza" in Italia, intrapresi con l'intento di accedere a cure adeguate in Regioni più ricche o comunque più attrezzate di quella di provenienza. Fra il 1990 e 2003 la mobilità ospedaliera interregionale è addirittura aumentata: i residenti ricoverati in un'altra regione sono passati dal 6,7% al 7,1%. Le Regioni che hanno flussi più consistenti in uscita sono quelle del Mezzogiorno, a eccezione di Abruzzo e Molise, e fra queste Campania, Basilicata e Calabria accusano una percentuale di emigrazione superiore alla media. La maggior parte delle regioni del Nord e del Centro, invece, escluse Piemonte, Valle d'Aosta, Provincia Autonoma di Trento e Marche, hanno flussi di entrata più consistenti di quelli in uscita. A spostarsi in regioni più lontane sono soprattutto i malati pugliesi, calabresi, siciliani e sardi, che vanno prevalentemente in Lombardia e in Emilia Romagna.
Ma la mobilità ospedaliera avviene anche fra aree contigue e per alcune regioni è particolarmente forte: il Piemonte verso la Lombardia (58%), la Valle d'Aosta verso il Piemonte (61%), la Provincia Autonoma di Trento verso quella di Bolzano (21%) e il Veneto (41%), la Basilicata verso la Puglia (45%) e l'Umbria verso il Lazio (33%). Ci si sposta per cercare cure in altre regioni soprattutto in casi di trapianto, ma anche per malattie endocrine e nutrizionali, biopsie del sistema muscoscheletrico, per interventi per obesità, ustioni e
terapie riabilitative per dipendenza da alcool e farmaci.
Sul fronte spesa, l'Italia spende per il welfare (Sanità, istruzione, assistenza e previdenza) il 30,2% del Pil, in linea con la media europea. Nel 2003, ammontano a circa 3mila euro annui per abitante le risorse che le amministrazioni pubbliche hanno destinato ai servizi sociali per la persona (sanità, istruzione e assistenza sociale), con un aumento di circa 900 euro rispetto al 1996. Quasi la metà della spesa è destinata alla Sanità, oltre un terzo all'istruzione e il 17% è assorbito dall'assistenza sociale. Tuttavia, ci sono differenze notevoli nella spesa sociale per abitante tra i valori maggiori nelle regioni settentrionali e i minori in quelle meridionali. Sono le regioni più ricche - spiega l'Istat - a investire di più, "indicando che la spesa sociale ha solo modeste funzioni di riequilibrio dei divari tra le diverse zone del Paese". La differenza di spesa per abitante tra la regione in cui si investe di più e quella in cui si investe di meno è di quasi 2mila euro annui. Tuttavia, per effetto della crescita sostenuta nelle regioni con livelli di spesa minore, tra il 1996 e il 2003 si è verificata una convergenza regionale nei livelli di spesa sociale. L'assistenza sociale erogata dai Comuni è l'area dove emergono i maggiori divari territoriali: la spesa (lo 0,4% del Pil nel 2003) è concentrata per il 60% al Nord. La domanda di servizi sociali risente delle trasformazioni demografiche in atto. Passa dal 13,1% del 1980 al 19,5% del 2005 l'incidenza degli anziani sul complesso della popolazione. Per alcuni indicatori demografici, come la fecondità, c'è un riavvicinamento tra Nord e Sud, tuttavia il Settentrione resta "più vecchio" e con più immigrati.

Fonte: SIMGNews


scarica il rapporto da questo link:
http://www.pillole.org/public/aspnuke/downloads.asp?id=197

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