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Asa associato a dipiridamolo dopo ischemia cerebrale: lo studio ESPRIT
Inserito il 20 maggio 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La terapia ASA e dipiridamolo dopo un'ischemia cerebrale sarebbe superiore alla sola ASA su un end point combinato (morte da cause vascolari, ictus non fatale, infarto miocardico non fatale, complicanze emorragiche maggiori).

In questo RCT sono stati arruolati 2.739 pazienti entro 6 mesi da un attacco ischemico cerebrale transitorio oppure da un ictus minore di presumibile origine arteriosa, successivamente randomizzati a ricevere aspirina (30-325 mg/die) da sola (n=1363) oppure associata (n=1376) a dipiridamolo (200 mg due volte al giorno). L'end-point primario era costituito da una combinazione di morte da cause vascolari, ictus non fatale, infarto miocardico non fatale, complicanze emorragiche maggiori. Il trattamento era in aperto mentre la valutazione degli eventi era in cieco. L'analisi primaria venne effettuata secondo l'intenzione a trattare.
Il follow-up medio fu di 3.5 anni, la dose media di aspirina in entrambi i gruppi fu di 75 mg mentre il dipiridamolo era del tipo a rilascio controllato nell'83% dei casi. Il 4% dei soggetti ebbe un follow-up incompleto.
L'end-point primario si verificò in 173 (13%) dei pazienti trattati con l'associazione e in 216 (16%) di quelli trattati con aspirina da sola HR 0,80; IC95% 0,66-0,98; riduzione assoluta del rischio 1% all'anno).
Gli autori hanno effettuato una meta-analisi dei trials precedenti sommando anche i dati del loro studio ed hanno riscontrato una riduzione del 18% dell'end-point composto da morte, ictus o infarto miocardico (RR = 0,82; IC95% 0,74-0,91).
I pazienti hanno sospeso il trattamento più spesso nel gruppo asa + dipiridamolo (470 vs 184) soprattutto a causa della comparsa di cefalea.
Gli autori concludono che i loro dati, combinati con quelli degli studi precedenti, forniscono prove sufficienti per consigliare una terapia di associazione asa + dipiridamolo dopo un'ischemia cerebrale.

Fonte:
Lancet 2006 May 20; 367:1665-1673

Commento di Renato Rossi

L'aggiunta di dipiridamolo all'aspirina nella prevenzione secondaria dell'ictus è stata finora oggetto di controversie. In una meta-analisi di 25 RCT per un totale di oltre 10.000 pazienti ad alto rischio vascolare l'aggiunta di dipiridamolo all'aspirina non ha ridotto ulteriormente il rischio di gravi eventi cardiovascolari anche se vi era una riduzione del rischio di ictus non fatale [1].
In effetti i dati di questa meta-analisi sono stati influenzati soprattutto dallo studio ESP-2 [2] in cui era stato paragonato l'asa da solo (25 mgx2/die) o associato a dipiridamolo (200 mgx2/die) al placebo. In questo studio su oltre 3.000 pazienti l'associazione evitava 3 ictus in più ogni 100 pazienti trattati per 2 anni, senza alcun impatto sulla mortalità. In una analisi a posteriori dello studio ESP-2 [3] si evidenziò che l'associazione riduceva il rischio di stroke soprattutto in soggetti ad alto rischio (età inferiore a 70 anni, ipertensione, precedenti di stroke o di TIA, fumo, malattie cardiovascolari) ma trattandosi di un'analisi a posteriori questi dati vanno interpretati con cautela.
Il NICE, l'organismo inglese che valuta l'efficacia degli interventi sanitari, recentemente ha suggerito, nei pazienti con pregreso ictus, di usare per i primi due anni l'associazione asa + dipiridamolo ed in seguito (se il dipiridamolo non è tollerato) di passare alla sola aspirina. Queste raccomandazioni però sono state messe in dubbio [4] in quanto si basano sui risultati di un solo studio su appena 3000 pazienti [2], in cui tra l'altro era stata usata una dose di aspirina inferiore a quella raccomandata di 75-325 mg/die.
I dati dello studio ESPRIT portano un altro contributo alla querelle: in pazienti con pregresso TIA o ictus minore di presumibile origine arteriosa l'aggiunta di dipiridamolo all'aspirina riduce il rischio di ulteriori eventi cardiovascolari gravi del 20%. Tuttavia vanno considerati alcuni punti. Anzitutto non si sa se questi risultati siano applicabili anche ai pazienti colpiti da forme più gravi di ictus. Inoltre la percentuale di soggetti che hanno manifestato effetti collaterali (soprattutto cefalea) è stata molto più elevata nel gruppo dipiridamolo + asa: ben il 34% dei soggetti del gruppo in terapia combinata ha sospeso il trattamento. Perciò nella pratica clinica, dove la quota di intolleranti al trattamento potrebbe essere maggiore, i risultati di efficacia dell'associazione potrebbero essere influenzati in senso peggiorativo rispetto a quelli del trial. Infine bisogna notare che la differenza nei singoli end-point che componevano l'outcome primario non era significativa tra i due gruppi.
Da più parti finora le prove a favore del dipiridamolo erano ritenute non del tutto convincenti, ma con la pubblicazione dello studio ESPRIT l'opinione potrebbe cambiare. Dal canto nostro, pur con i dubbi suddetti, riteniamo che l'associazione asa + dipiridamolo possa essere utile in alcuni pazienti, per cui andrebbe considerata in quelli che la tollerano. La terapia però attualmente sarebbe a totale carico dell'assistito, con un costo di circa 290 euro all'anno.

Bibliografia
1. BMJ 2002 Jan 12; 324:71-86
2. J Neurol Sci 1996; 143:1-13
3. Arch Neurol. 2005;62:403-408
4. Mayor S. BMJ 2005 Jun 4; 330:1286

Commento di Luca Puccetti

In aggiunta alle considerazioni di Renato Rossi occorre menzionare il problema della cosiddetta "resistenza all'aspirina" che non è stata valutata nei vari trial comparativi tra ASA e Dipiridamolo e che potrebbe rappresentare un importante confounding factor in grado di alterare profondamente i risultati dei singoli studi comparativi e delle metanalisi. Certamente è possibile anche che il caso abbia distribuito (ipotesi verosimile quanto più è ampia la casistica) in modo simile i pazienti resistenti e non all'ASA nei diversi gruppi di comparazione non influendo pertanto sui risultati finali delle metanalisi. Da vari anni è stato segnalato il problema della "resistenza" all'ASA.[1] Alcuni pazienti, infatti, trattati con ASA mostrano segni di laboratorio di inadeguata inibizione della funzione piastrinica. In certi pazienti questa resistenza si sviluppa alcuni mesi dopo l'inizio del trattamento. Ci sono diversi possibili motivi per i quali l'aspirina può non essere efficace: una scarsa compliance, un dosaggio inadeguato, una prevalente attivazione piastrinica attraverso vie metaboliche non bloccate dal farmaco, interferenze farmacologiche, polimorfismi delle glicoproteine piastriniche ed un aumentato turnover piastrinico.[2]. Inoltre le preparazioni rivestite presentano un maggior tasso di resistenza in base ai risultati di studi di ricercatori del Northwestern Memorial Hospital presentati al 5th World Stroke Congress a Vancouver, Canada. Il termine "resistenza all'aspirina" è usato per indicare la sua incapacità di produrre una risposta attesa in uno o più parametri di laboratorio che misurino l'attivazione e l'aggregazione piastrinica. Fino al 50% dei pazienti sono stati definiti "resistenti" in vari studi. Tuttavia le definizioni di laboratorio sono variate in base al test prescelto e nessuno studio ha in passato validato in maniera prospettica il test convenzionale di aggregazione piastrinica come predittore indipendente di successivi eventi vascolari. Gum e coll.[3] hanno fornito la prima evidenza affidabile che la resistenza all'aspirina, diagnosticata come la mancata soppressione dell'aggregazione misurata con metodo ottico, correli con una mancata responsività clinica confermatata (e non presunta). Seppur su una casistica limitata di pazienti ad alto rischio, la resistenza all'aspirina (presente in questo studio in un paziente su 20) dopo un follow-up di due anni si associava ad un eccesso di 3,1 volte di eventi vascolari gravi (4,1 volte dopo aggiustamento per altri fattori di rischio). In uno studio i ricercatori del Queen Mary Hospital di Hong Kong che hanno presentato questi dati all’American College of Cardiology 2005 di Orlando, hanno evidenziato che la resistenza all'aspirina nei pazienti più a rischio sarebbe molto diffusa. I livelli urinari di 11 deidrotrombossano B2 sono stati valutati in 488 pazienti dello studio HOPE trattati con ASA per ictus o infarto e in 488 controlli che assumevano ASA senza essere affetti da patologie. Nel quartile di soggetti con livelli più elevati di 11 deidrotrombossano B2 presentavano un rischio di morte cardiovascolare 3,5 volte maggiore rispetto ai soggetti con con livelli di 11 deidrotrombossano B2 nel quartile inferiore. E' stata avanzata l'ipotesi che la misura del 11 deidrotrombossano urinario possa rappresenatre un indice predittivo di resistenza all'aspirina.

Bibliografia
1) Stroke 1994; 25: 2331-2336
2) J Am Coll Cardiol 2003; 41: 966-968
3) J Am Coll Cardiol 2003; 41: 961-965

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