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Calcio e vitamina D non riducono fratture nelle donne in postmenopausa
Inserito il 25 marzo 2006 da admin. - reumatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Supplementi di calcio e vitamina D non riducono il rischio di fratture in donne in post menopausa e aumentano il rischio di calcolosi renale.

In questo studio sono state reclutate 36.282 donne in post-menopausa (età 50-79 anni) randomizzate a ricevere 1000 mg di calcio + 400 UI di vitamina D3 al giorno oppure placebo per 7 anni.
Sebbene la densità minerale ossea migliorasse nel gruppo in trattamento attivo rispetto al gruppo controllo non si riscontrò una riduzione statisticamente significativa delle fratture: HR 0,88 (IC95% 0,72-1,08) per le fratture dell'anca, HR 0,90 (0,74-1,10) per le fratture vertebrali e HR 0,96 (0,91-1,02) per ogni tipo di frattura.
Il rischio di sviluppare una calcolosi renale aumentò nel gruppo in trattamento con calcio e vitamina D del 17% (HR 1,17; IC95% 1,02-1,34). L'analisi è stata eseguita secondo l'intenzione a trattare: se si scorporano i dati delle donne che avevano cessato di seguire la terapia prescritta la riduzione del rischio di fratture dell'anca diventa significativa dal punto di vista statistico (HR 0,71; IC95% 0,52-0,97).
IL NNT per evitare una frattura di femore basandosi sull'intera popolazione cesaminata con intenzione a tratatre è dipari a 5045 e scende a 1914 nelle donne oltre 60 anni di età a maggior rischio. Gli autori concludono che supplementi di calcio e vitamina D in donne in post-menopausa migliorano la densità minerale ossea, ma non riducono il rischio di fratture e aumentano il rischio di calcolosi renale.

Fonte: N Engl J Med 2006; 354:669-683

Commento di Renato Rossi

Gli studi sull'efficacia di supplementi di calcio e vitamina D nella prevenzione delle fratture osteoporotiche hanno dato risultati contrastanti. In alcuni trials vi è stata una riduzione delle fratture non vertebrali, soprattutto in soggetti anziani istituzionalizzati [1,2]. Al contrario altri studi più recenti sembrano smentire l'efficacia del calcio e della vitamina D, sia in prevenzione primaria che secondaria [3,4], ma gli studi sono stati variamente criticati per il loro disegno metodologico. Una meta-analisi recente conferma che la vitamina D3 alle dosi di 700-800 UI/die (ma non di 400 UI/die) riduce il rischio di frattura dell'anca del 26% e di frattura non vertebrale del 23% in anziani sia istituzionalizzati che ambulatoriali [5].
Che dire di quest'ultimo studio? Vi sono alcuni punti da considerare. Anzitutto i supplementi di calcio e vitamina D sono stati somministarti a donne in post-menopausa sane, indipendentemente dai valori di massa ossea e dall'esistenza di fattori di rischio per osteoporosi; inoltre molte delle donne arruolate, in entrambi i gruppi erano in terapia ormonale sostitutiva (TOS). E' probabile quindi che l'effetto del trattamento sia stato, per così dire "diluito": forse l'efficacia di calcio e vitamina D è maggiore quando vengono trattate pazienti a rischio con osteoporosi, non in TOS e che magari hanno un basso introito di questi elementi. Un secondo appunto che si può fare è che le dosi di vitamina D3 somministrate sono state troppo basse perchè già analisi precedenti hanno dimostrato che ci vogliono almeno 700-800 UI/die per avere un effetto antifratturativo [5].
Le conclusioni pratiche mi sembrano queste: calcio e vitamina D non sono da prescrivere indiscriminatamente a tutte le donne appena entrano in menopausa (anche se ovviamente è sempre da raccomandare un' adeguata assunzione di calcio e vitamina D con gli alimenti) perchè l'effetto in donne a basso rischio è insignificante e può portare ad un aumento del rischio di sviluppare una calcolosi renale. Potrebbe invece avere un significato la somministrazione in donne con osteoporosi e con fattori di rischio associati (età avanzata, familiarità per fratture, uso di farmaci che aumentano il riassorbimento osseo, fumo, scarso introito di calcio e vitamina D con la dieta, scarsa esposizione alla luce solare, ecc.).


Commento di Luca Puccetti

Lo studio presenta alcune difficoltà relativamente all'estensibilità dei risultati alla popolazione generale e alle diverse realtà geografiche. Infatti è noto che la terapia estrogenica aumenta l'assorbimento del calcio e la trasformazione della 25-idrossivitamina D (25OHD) a 1,25-(OH)2D (6) ed interferisce con la soglia renale di riassorbimento del fosfato (7) e dunque questo può aver interferito con la calciuria. Inoltre è noto il paradosso apparente che una dieta ricca di calcio è associata ad una riduzione del rischio di calcolosi renale, mentre l'assunzione di una supplementazione calcica aumenta il rischio. Questo è probabilmente dovuto al fatto che il calcio assunto con la dieta si lega agli ossalati e dunque in parte non viene assorbito e, a sua volta, diminuisce l'assorbimento degli ossalati riducendo l'ossaluria. Il calcio assunto come supplementazione viene spesso assunto non ai pasti e dunque non si lega agli ossalati pertanto aumenta l'assorbimento e la calciuria. La maggior parte delle donne arruolate nel presente studio probabilmente non aveva carenza di calcio, ma questa è una evenienza assai rara nel nostro paese, dove non esiste neppure la supplementazione con calcio e vitamina D dei cibi. Da notare inoltre che le donne partecipanti erano abbastanza in sovrappeso avendo un body mass index di 29 e questo costituisce un fattore protettivo nei confronti delle fratture. Inoltre, oltre alle giuste considerazioni sulla dose di vit. D somministrata, già evidenziate da Renato Rossi, si deve ricordare che l'analisi, sia pure post hoc, ha dimostrato una riduzione del 29%, molto importante da un punto di vista epidemiologico, di incidenza di fratture di femore nelle donne che avevano effettivamente assunto il trattamento e questo indica che forse più che l'efficacia è in ballo la sostenibilità dell'intervento nel lungo periodo. Questa riduzione è infatti del tutto simile a quella osservata in altri trial. Solo il 59% delle donne ha assunto la dose prescritta per tutto il follow-up. Infine lo studio, pur con un follow-up molto lungo rispetto agli standard abituali, per la peculiarità dell'end point da valutare, che si verifica nelle età molto avanzate, potrebbe non avere un follow-up sufficiente. L'età media delle paziente arruolate era infatti di 62 anni e solo il 17% presentava un'età oltre i 70 anni.

Bibiografia

1. N Engl J Med 1997; 337: 670-6.
2. N Engl J Med 1992; 327: 637-1642
3. BMJ 2005; 330: 1003
4. Lancet 2005; 365: 621-1628
5. JAMA. 2005; 293: 257-2264
6. J Clin Endocrinol Metab 1980; 5:1359–1364
7. J Clin Endocrinol Metab 2000; 85: 1215 - 1219
8. BMJ 1994; 308: 1081-2

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