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Antinfiammatori attivi su COX 2 prevengono cancro al seno
Inserito il 04 febbraio 2006 da admin. - oncologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'uso continuativo di antinfiammatori attivi sulla COX 2 risulta associato con una diminuzione dell'incidenza di cancro al seno.

Al fine di verificare se l'uso regolare di antinfiammatori fosse associato con una diminuzione dell'incidenza di cancro della mammella ricercatori dell' Ohio University College of Medicine and Public Health, Columbus, hanno arruolato 323 pazienti con cancro della mammella invasivo subito dopo la diagnosi e le hanno appaiate con 649 controlli, omogenei per etą e condizioni socioeconomiche, non affette da cancro. Sono state raccolte informazioni sui fattori di rischio noti per il cancro mammario e sull'utilizzo di antinfiammatori.
Le donne che avevano assunto ogni giorno per almeno due anni farmaci inibitori selettivi della COX-2 presentavano un rischio ridotto di cancro mammario rispetto alle donne che non avevano assunto tali farmaci (OR=0.29). Una dose quotidiana di 200 mg di celecoxib assunta per due anni era associata ad una riduzione del rischio di cancro mammmario pari all'83% ed una dose di 25 mg di rofecoxib ad una riduzione del 64%. L'uso regolare di antinfiammatori non selettivi quali aspirina (325 mg), ibuprofene (200 mg) e naproxene (250 mg) era associata ad una riduzione significativa del rischio di cancro mammario, ma di entitą inferiore rispetto a quella osservata con l'utilizzo regolare di Coxib. L'assunzione di Ibuprofene o aspirina č risultata associata ad una riduzione significativa del rischio di cancro della mammella se effettuata a giorni alterni e protratta per almeno 5 anni. L'uso regolare di paracetamolo, che non esercita inibizione della COX2, non č risultato associato con una riduzione significativa del rischio di cancro mammario.

Fonte: BMC Cancer 2006, 6:27 (30 January 2006)

Commento di Luca Puccetti

Ci troviamo innanzi all'ennesimo studio caso controllo caratterizzato dai ben noti problemi di possibili bias legati intimamente al disegno sperimentale ed all'uso delle covariate per cercare di controllare per i confounding factors presumibilmente rilevanti. Certamente dal punto di vista delle implicazioni fisiopatologiche č interessante che solo i farmaci che inibiscono la COX2 siano risultati associati ad una riduzione del rischio di cancro mammario. E' anche intrigante che ci sia una sorta di effetto dose-risposta in quanto i FANS tradizionali, meno attivi sulla COX2, sarebbero associati ad una riduzione minore del rischio ed il paracetamolo, che non agisce sulla COX 2, non č risultatao associato ad alcuna significativa riduzione del rischio. E' tuttavia opportuno ricordare che i trials disegnati specificamente per monitorare l'efficacia e la tollerabilitą dei Coxib nella prevenzione di alcune forme cancerose, come ad esempio nella poliposi intestinale, hanno spesso dato luogo a cocenti delusioni per l'insorgenza di effetti collaterali a livello cardiovascolare. Poichč l'effetto protettivo sul cancro mammario per divenire apprezzabile comporta l'assunzione per lungo tempo di Coxib e FANS e poichč assunzioni di tali farmaci protratte a lungo sono risultate associate con un aumento del rischio cardiovascolare, č evidente che il rischio di incorrere in effetti avversi severi quali ictus o eventi cardiaci ischemici sarebbe elevato e dunque sorgerebbero non pochi problemi etici financo nel concedere l'autorizzazione per condurre un trial finalizzato a valutare prospetticamente l'impatto di una terapia preventiva long term con Coxib sul rischio di cancro al seno. Un tale trial sarebbe forse concepibile solo in donne con basso fattore di rischio cardiovascolare ed alto rischio oncologico. Questa evidenza č comunque interessante in quanto apre teoricamente la strada all'impiego di molecole attive sulla COX2, ma non gravate dai rischi che caratterizzano l'uso prolungato delle molecole COX2 selettive attualmente disponibili. Rimane comunque assai dubbia la possibilitą di implemenatre nella pratica clinica una tale strategia. Somministrare preventivamente per anni un farmaco potenzialmente foriero di effetti tossici a livello gastroenterico, renale e cardiovascoalare a donne in cui esista un rischio di cancro non particolarmente elevato, ad esempio in prevenzione primaria, appare impresa assai ardua. Diverso potrebbe essere il discorso se si immaginasse di usare questi farmaci in prevenzione secondaria, magari nelle donne con recettori negativi e dunque a minor chance di risposta agli antiestrogeni.

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