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La Ru 486 non è più sicura dell'intervento per l'IVG
Inserito il 18 novembre 2005 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La sbandierata maggior sicurezza della pillola abortiva Ru486 rispetto alla pratica tradizionale, basata sull'intervento di suzione, è scientificamente indimostrata.

Recenti ricerche hanno evidenziato che negli Stati Uniti il tasso di mortalità connesso all’aborto chirurgico è di 0,7 decessi ogni 100.000 aborti (considerando anche gli aborti tardivi, quelli a rischio maggiore) (Bartlett LA et al. Obstet Gynecol. 2004 Apr; 103(4):729-37), mentre quello relativo all’aborto con la RU-486 è di 1,1 decessi ogni 100.000 donne (Henderson JT et al. Contraception. 2005 Sep; 72(3):175-8). Anche il dottor Richard Hausknecht, direttore medico della ditta che negli Stati Uniti commercializza la RU-486, ha affermato in una conferenza stampa di non sapere se la RU-486 sia più sicura’ dell’aborto chirurgico (cfr. Conferenza al “Northern Adirondack Planned Parenthood” in Plattsburgh, New York)”.
Nello stesso foglio illustrativo del Mifepristone – il nome farmacologico del composto abortivo – è riportato tra gli effetti avversi la sincope, cioè la perdita di coscienza, nell’1% dei casi.
Proiettando questi dati alla situazione italiana se 130.000 donne in Italia abortissero con la RU-486 (questo è il numero approssimato degli aborti in un anno nel nostro Paese) ci dovremmo attendere 1.300 episodi sincopali!
Inoltre sempre negli Stati Uniti i dati disponibili più recenti indicano che solamente il 3% delle donne ricorrono all’aborto farmacologico, (Strass LT. et al. Abortion Surveillance --- United States, 2001). In Francia, patria della RU-486, terra fortemente nazionalista, la pillola per abortire viene usata nel 56% dei casi (Institut National d'Études Démographiques , INED)”.
In tutti i Paesi si registrano fortissime variazioni da regione a regione, ad esempio dal 60% al 10% in aree diverse della Svezia (Bygdeman M et al., Journal of the American Medical Women's Association, 2000, 55(3):195-196).
Circa i costi, negli Stati Uniti si pagano 487 dollari per l’aborto medico contro i 468 di quello chirurgico (Henshaw SK and Finer LB, Perspectives on Sexual and Reproductive Health, 2003, 35(1):16-24.), perché l’assenza del costo chirurgico è più che compensato dal maggior numero di accessi medici nell’aborto chimico.
In Italia, in ossequio alla legge 194 che prevede all’art. 8: ‘L'interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell'articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132’, vanno conteggiati i costi relativi ai giorni di degenza ospedaliera.

Fonte : R. Puccetti intervista a Zenit 15/11/2005

Commento di Luca Puccetti

Un ginecologo dell'ospedale di Pontedera, da dove è partita la corsa ad importare la pillola abortiva, ha dichiarato in un'intervista pubblicata sul giornale il Tirreno del 13/11/05 :
“L’aborto farmacologico è molto più sicuro di quello chirurgico. Consentitemi una metafora: è come passare da un’auto con due airbag a una vettura con sei airbag. E non è che l’automobile con due soli airbag non possa viaggiare […] Penso piuttosto ad una forte trasmigrazione dal metodo chirurgico a quello farmacologico, perché è più sicuro, meno costoso, meno invasivo.”
Questo assunto viene ripreso come fosse Vangelo in un gigantesco domino mediatico da politici, sociologi, giornalisti, senza che nessuno si ponga il problema, ma sarà vero?
Non sembrano pensarla nello stesso modo gli estensori di una metanalisi i cui Autori sono del Centro Cochrane cinese. Secondo questi Autori, la revisione sistematica comprendente 101 articoli ha indicato un RR (95%, CI) di sanguinamento, dolore addominale e febbre nell'aborto medico pari rispettivamente a 3.27 (1.14 - 9.38), 1.63 (1.14 - 2.34) e 1.58 (1.03 - 2.44). Sempre secondo gli Autori della revisione sistematica questi valori, pur rari, sono significativamente più frequenti rispetto a quelli riscontrati con la procedura chirurgica. Dunque l'assunto "aborto medico uguale aborto più sicuro" è largamente indimostrato e caso mai le evidenze della EBM sembrano indicare il contrario. Veniamo poi agli aspetti relativi alla procedura usata. L'importazione dei farmaci esteri da un paese UE è disciplinata dall'art. 3 del DM 11/02/97, recentemente modificato dal DM 20/04/05, che recita:
"Se il medicinale proviene da altro Paese dell'Unione europea l'importazione del prodotto nel territorio nazionale è consentita previo rilascio di nulla osta da parte del competente Ufficio di Sanità marittima, aerea, di confine e dogana interna."
Dunque il nulla osta potrebbe essere negato e la pillola abortiva in tal caso non potrebbe essere importata. Ma esiste un altro aspetto rilevante nel caso fosse usato il misoprostol, sia per os, che per via vaginale. A tale riguardo giova ricordare che il decreto 23 del 17/02/1998 all'articolo 3 recita che
"in singoli casi il medico può, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali si è già provata quell'indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione, e purchè tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale".
Occorrono quindi dei requisiti precisi:
Informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso.
Che il farmaco usato sia prodotto industrialmente e già registrato per un'indicazione o una via di somministrazione diversa da quella che intenda usare il medico.
Che non esistano altri farmaci utili e regolarmente registrati per quella indicazione terapeutica.
Che l' inesistenza di trattamenti alternativi "ufficiali" sia documentabile.
Che esistano lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale.
E' da sottolineare tuttavia che, anche rispettando tutti questi criteri, il paziente non avrebbe diritto all'erogazione del medicinale a carico del Sistema Sanitario Nazionale per cui la ricettazione dovrebbe essere fatta sempre in regime libero professionale non convenzionato.
E' del tutto evidente che la somministrazione del misoprostolo a scopo coadiuvante l'azione di Ru486 sia da ritenersi prescrizione off-label a tutti gli effetti e dunque soggetta all'art. 3 del succitato decreto. Orbene, affermare che sistematicamente non esistano alternative e agire in modo siffatto che i singoli casi diventino invece una sorta di offerta sistematica di "cura" non pare in linea con la lettera e lo spirito del succitato decreto.
Ma sussistono altre rilevanti questioni in merito alle procedure dell'aborto medico. Il giurista Alberto Gambino, Ordinario di Diritto Privato presso l'Università Europea di Roma e docente di Filosofia del Diritto all'Ateneo pontificio Regina Apostolorum, ha contestato che la procedura adottata sia conforme alla legge 194 in quanto che “L'attuale procedura seguita al nosocomio di Pontedera (Pisa), prevederebbe che al primo giorno di ricovero vengano somministrate le pillole, quindi nel giro di tre giorni la donna venga dimessa (sarebbe peraltro giuridicamente molto problematico trattenerla in presenza di una sua richiesta espressa di dimissione). Successivamente, dopo due settimane, la donna tornerebbe in ospedale per verificare se l'aborto sia avvenuto”.

Fonti:
1) Danno e Esponsabilità, 2003; 10:925-937
2) Zhonghua Fu Chan Ke Za Zhi. 2004;39:39-42.

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