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Pioglitazone e diabete: che cosa si nasconde in soffitta ?
Inserito il 09 ottobre 2005 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Lo studio Proactive sul pioglitazone nel diabete tipo 2 enfatizza i risultati positivi di outcome secondari e glissa sul mancato raggiungimento dell'end point principale prestabilito.

Leggiamo in anteprima su pillole.org i risultati dello studio PROACTIVE [9], già egregiamente commentato da Renato Rossi negli interessanti aspetti clinici ed a cui aggiungiamo solo considerazioni squisitamente metodologiche, giocoforza -per la loro stessa natura- un pò 'forti'.
Le conclusioni degli autori rispecchiano infatti in modo paradigmatico quello che il dott. Moyè ha definito nel 1999 'nascondere la zia scema* in soffitta' [1].
Non abbiamo in mano l' articolo originale (che ci procurereremo al più presto) e i nostri commenti si riferiscono quindi solo ai dati che si possono ricavare dall' abstract.
Il lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet appare ad un sommario esame (appunto limitato all' abstract) un capolavoro di ingegneria metodologica architettato per orientare a favore dell' ipotesi precostituita (= ) tutte le analisi consentite dal trial. Si è glissato sul mancato raggiungimento dell'end point principale, ossia l'abbattimento della morbilità cardiovascolare, un indice composito costituito da ben 6 item, per enfatizzare i risultati positivi di outcomes secondari. Le conclusioni riportate nell' abstract, bypassando allegramente l' ipotesi iniziale a cui il risultato rilevato per l' outcome primario -come in tutte le sperimentazioni correttamente interpretate - doveva fornire una risposta, sono che il pioglitazone riduce la somma degli eventi mortalità generale, infarto non fatale e stroke in diabetici di tipo 2 ad alto rischio. La metodologia ci insegna invece che l' analisi degli end-point secondari ( e dei sottogruppi) dovrebbe essere utilizzata solo come valore aggiunto a supporto delle conclusioni ricavate dall' analisi primaria [4] oppure - al limite- allo scopo di generare ipotesi di lavoro [3].
Conclusioni
Chi scrive sostiene, analogamente a più illustri opinioni, che esistano molti argomenti a favore di un utilizzo più prudente e ponderato delle analisi degli outcome secondari e dei sottogruppi [3]. Una volta scelto l' outcome primario tutta la potenza dello studio è stata spesa per le analisi ad esso riferite : l' effetto del caso può giocare quindi un ruolo molto forte nel condizionare i risultati di efficacia riscontrati in singoli sottogruppi o che riguardino outcome diversi da quello primario, anche in presenza della desiderata 'significatività statistica' [3]. La US Food and Drug Administration, coerentemente, per l' autorizzazione all' immissione in commercio di nuove molecole richiede trial randomizzati ben condotti in cui la potenza statistica sia tarata su differenze relative ad un outcome primario [8]. In un' epoca in cui qualsiasi Servizio Sanitario sempre più tende a considerare l' analisi costo-efficacia come parte integrante dei processi decisionali di rimborsabilità dei nuovi farmaci diventa sempre più importante che le evidenze scientifiche siano interpretate in modo corretto, al fine di evitare di incorporare nella pratica clinica scelte terapeutiche inappropriate [3]

Alessandro Battaggia e Alberto Vaona
EQM (Evidenza, Qualità e Metodo in Medicina Generale

Vi invitiamo a leggere l'articolo nella versione integrale nella sezione downloads; per commenti articolati si prega di postare su agorà

[1] Control Clin trials 1999 20:40-9
[2] JAMC 2001 165(9):1226-37
[3] BMJ 322 2001 322:989-91
[4] University of Washington
RCDRC Guidelines for Clinic Trial Designs
http://depts.washington.edu/rcdrc/app.html
[5] Lancet 2005; 366: 895–906
[6] Battaggia A, et al. Old or new drugs for Hypertension? no problem: the result is the same [in press]
[7] NEJM 2005:352A
[8] Contr Clin Trials 1999 20:16-39
[9] Lancet 2005 366:1279-1289

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