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Tutti gli antinfiammatori aumentano il rischio di cardiopatia ?
Inserito il 13 giugno 2005 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Tutti gli antiinfiammatori, sia selettivi che non selettivi sarebbero associati con un aumento del rischio di infarto.

Tra il 2000 ed il 2004 sono stati considerati 9218 casi con diagnosi di primo evento infartuale (IMA) che sono stati comparati in uno studio caso controllo annidato con 86349 controlli omogenei per età practice e sesso. Un incremento significativo del rischio di IMA è risultato associato con l'uso di rofecoxib (odds ratio aggiustato 1.32, 95%CL 1.09 - 1.61), diclofenac (1.55, 1.39 - 1.72, ibuprofen (1.24, 1.11 - 1.39). Ad un livello minore di significatività sono risultati associati anche il naprossene e altri FANS o coxib.

Fonte: BMJ 2005;330:1366

Commento di Luca Puccetti
Ancora una volta dobbiamo mettere in guardia contro questi studi, soggetti a pesanti bias. In questo caso la popolazione con IMA è diversissima per BMI, comorbidità diabetica, ipertensiva, artritica ed uso di farmaci cardioattivi. Gli autori non hanno considerato i farmaci da banco e nemmeno le dosi degli antinfiammatori. Per l'abitudine al fumo molti dati sono mancanti e poichè nel 2004 già circolavano allarmi sulla sicurezza del rofecoxib molti pazienti a rischio cardiovascolare potrebbero essere stati trattati con naprossene piuttosto che con rofecoxib. Infatti in questo studio il rofecoxib, contrariamente a quanto emerso nello studio danese (Arch Intern Med. 2005; 165:978-984), non ha dimostrato un'associazione più elevata con il rofecoxib del rischio di IMA rispetto a quella associata con altri antinfiammatori. Nello stesso numero del BMJ un altro studio retrospettivo di coorte ha valutato il rischio combinato di morte e di recidiva di scompenso in 2256 pazienti, di almeno 66 anni, ospedalizzati per scompenso cardiaco da aprile 2000 a Marzo 2002. Il rischio combinato di morte e recidiva di scompenso è risultato più elevato nei pazienti cui erano stati prescritti FANS o rofexocib che in quelli in cui era stato prescritto celecoxib (hazard ratio 1.26, 95% CI 1.00 - 1.57 e 1.27, 1.09 - 1.49, rispettivamente). Stessi risultati allorquando gli end points sono stati esaminati separatamente. Il rischio non è risultato diverso per l'insieme degli altri FANS in paragone a quello associato al naprossene. E' chiaro che questi studi contrastanti rendono la vicenda molto confusa ed i medici rischiano di essere disorientati. Il 10 giugno l’Agenzia inglese che regola i Farmaci e i Prodotti Sanitari (Medicines and Healthcare products Regulatory Agency: MHRA) ha pubblicato un avviso riguardante gli antinfiammatori non steroidei (FANS). L’Agenzia è intervenuta a proposito del lavoro in questione ricordando che è già stato pubblicato un avviso ai prescrittori, restringendo l’impiego dei COXIB nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari. Le evidenze relative ai FANS tradizionali sono meno chiare. Attualmente l’MHRA sta partecipando a livello europeo ad un’analisi dettagliata della sicurezza cardiovascolare dei FANS tradizionali (non selettivi). Nel frattempo, i prescrittori devono prendere in considerazione l’avviso del CSM riguardante l’uso dei FANS, in particolare devono tenere a mente di utilizzare la più bassa dose efficace per il più breve periodo di tempo necessario. L’ibuprofene, sempre secondo la MHRA, ha un eccellente profilo di rischio e questo è il motivo per cui è stato reso disponibile come farmaco da banco. Esisterebbero, secondo la MHRA, una serie di studi epidemiologici riguardanti la sicurezza cardiovascolare dell’ibuprofene. Il presente studio, come specificato dagli Autori stessi, presenta dei limiti e deve essere analizzato nel contesto di una serie di altri studi che non hanno dimostrato un aumento del rischio di infarto miocardico con ibuprofene. Che cosa possiamo concluderne? Che gli studi retrospettivi possono costituire solo un'ipotesi da verificare molto attentamente con studi prospettici randomizzati che però non debbono essere realizzati solo su pazienti selezionati. Meglio accettare il rischio di possibili fattori confondenti, ma arruolare pazienti quanto più vicini a quelli della pratica clinica. In generale una posizione ragionevole è quella di limitare l'uso degli antinfiammatori, sia selettivi che non selettivi, specialmente nei pazienti anziani e/o con fattori di rischio per cardiopatia ischemica, scompenso e insufficienza renale. L'impiego degli antinfiammatori dovrebbe essere controllato mediante un monitoraggio stretto del peso, della pressione e della diuresi e dovrebbe essere limitato al più breve tempo possibile. Nelle forme non severe di artrosi o nei reumatismi extrarticolari, specie negli anziani, dovrebbe essere usato il paracetamolo e se necessario oppiodi deboli. Solo nelle forme severe di artrosi e nelle artriti croniche la qualità di vita compromessa potrebbe giustificare i rischi di una terapia cronica con antinfiammatori. Stando al complesso delle evidenze disponibili e ribadendo le limitazioni sopraesposte non sembra che i Coxib attualmente disponibili in Italia presentino un rischio cardiovascoalre diverso da quelli dei FANS. C'è anche da dire che, contrariamente a quanto avviene in USA e nel Regno Unito, in Italia l'uso degli antinfiammatori viene abitualmente effettuato per periodi più brevi e a dosi mediamente inferiori e dunque i rischi possono essere ragionevolmente più contenuti.

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