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Tutti gli antinfiammatori aumentano il rischio di infarto?
Inserito il 16 maggio 2005 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Tutti i FANS (selettivi e non selettivi) determinerebbero un aumento del rischio di infarto miocardico.

In questo studio danese di tipo caso-controllo sono stati identificati 10.280 soggetti ricoverati per infarto miocardico acuto e 102.797 controlli paragonabili per età e sesso ma senza infarto. Dopo correzione per numerosi fattori di confondimento (storia di malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete, uso di aspirina o di antiaggreganti, farmaci antipertensivi, statine ecc.) si è trovato che l'uso di rofecoxib era associato ad un aumento del rischio di infarto miocardico dell'80% (RR 1.80; 95%CI 1.47-2.21), quello di celecoxib del 25% (RR 1.25; 95%CI 0.97-1.62), quello di altri inibitori della ciclo-ossigenasi del 45% (RR 1.45; 95%CI 1.09-1.93), del naproxene del 50% (RR 1.50; 95%CI 0.99-2.29) e di altri FANS non-asa del 68% (RR 1.68; 95%CI 1.52-1.85). Il rischio più elevato si notò nei soggetti che usavano da poco i farmaci (cosidetti new-users). Gli autori concludono che i pazienti che usano correntemente farmaci antinfiammatori diversi dall'asa possono avere un aumento del rischio di infarto miocardico anche se i dati potrebbero riflettere alcuni bias che la tipologia dello studio non permette di identificare.

Fonte: Arch Intern Med. 2005; 165:978-984.

Commento di Renato Rossi
Dopo il ritiro dal commercio del rofecoxib perchè ritenuto responsabile di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari si sono moltiplicati gli studi che hanno cercato di determinare se questo rischio esiste anche per gli altri coxib e per i FANS non selettivi. Recentemente è stato ritirato dal commercio anche il valdecoxib.
Il lavoro recensito in questa pillola si proponeva di vedere se il rischio evidenziato nei trials clinici è presente anche nella realtà perchè è noto che i pazienti e le condizioni degli RCT sono diversi da quelli della pratica di tutti i giorni.
Lo studio conferma che l'uso di rofecoxib è associato ad un aumento del rischio di infarto miocardico, ma che tale rischio è condiviso, in misura più o meno marcata, anche dagli altri coxib e dai FANS non selettivi. Per la verità bisogna dire che il dato non è statisticamente significativo per celecoxib e naproxene. In ogni caso rimane aperta la questione se in realtà tutti i FANS, siano essi o meno cox-selettivi, abbiano un'azione protrombotica (legata al loro meccanismo d'azione) che suffraga l'ipotesi di un effetto classe.
Ulteriori studi potranno chiarire meglio questi aspetti. Per il momento rimane valido il principio di usare questi farmaci solo in caso di bisogno, per terapie, se possibile, non protratte e di evitarne l'uso nei pazienti a rischio cardiovascolare o che hanno già avuto un infarto.

Commento di Luca Puccetti

Tutti gli studi retrospettivi sono suscettibili di essere gravati da pesanti bias. Come già ripetuto più volte possono far confondere le cause con gli effetti. La pretesa di voler considerare tutti i possibili fattori confondenti è abbastanza peregrina. Possono entrare in gioco fattori assolutamente non considerati o perché nuovi o perché non adeguatamente considerati. Ad esempio i pazienti che fanno uso di FANS ipso facto sono più spesso artritici e l'artrite è una patologia che si associa con un aumento del rischio cardiovascolare, indipendentemente dal tipo di terapie effettuate. Ancora, gli artrosici sono più spesso soggetti a muoversi assai di meno per la patologia reumatica da cui sono affetti, la minore mobilità aumenta il rischio cardiovascolare.
Nel presente studio ad esempio non ci sono informazioni circa l'utilizzo dei farmaci da banco, sulla durata e sulle dosi dei farmaci assunti. Pertanto i risultati di tali studi debbono essere valutati con moltissima prudenza. D'altro canto questi studi hanno il vantaggio di riferirsi a pazienti non selezionati, come invece sono quelli dei trials, in cui si va a studiare qualcosa che potrebbe accadere nella pratica clinica di tutti i giorni, pertanto, in linea teorica la generalizzabilità dei risultati di questi studi è maggiore di quella dei RCT. Occorre dunque superare i limiti che le regole attuali spesso impongono alla conduzione di RCT in pazienti anziani ed affetti da patologie concomitanti. Che fare nel frattempo ? Riproporre la vecchia e cara aspirina, il paracetamolo, gli oppiacei nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare? Prima di tutto occorre selezionare attentamente i pazienti cui prescrivere antinfiammatori. La prescrizione di analgesici ed antinfiammatori nell'artrosi in modo indiscriminato o eccessivo oltre che esporre a rischi cardiovascolari può condurre ad un rapido peggioramento delle lesioni articolari per un sovraccarico funzionale assolutamente incongruo di cui il paziente non si accorge per l'effetto analgesico che sopisce appunto i sintomi che in condizioni normali verrebbero invece avvertiti e condurrebbero ad una riduzione del carico di lavoro articolare. Diverso può essere il discorso per le artriti croniche in cui tuttavia la terapia di base deve tendere a ridurre l'attività di malattia riducendo il consumo di sintomatici. Se può consolarci, l'abitudine, tanto spesso criticata, dei medici italiani di sottotrattare i sintomi dell'artrite e dell'artrosi può aver contribuito a ridurre i rischi di eventi cardiovascolari in categorie a rischio.

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