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Lavora solo 49 giorni in due anni, condannata a sette mesi per truffa
Inserito il 17 maggio 2005 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il giudice disattende i certificati medici superficiali e compiacenti.

La Cassazione ha confermato la condanna per truffa - sette mesi e 15 giorni di reclusione e 750 euro di multa - nei confronti di Francesca G., una dipendente statale del Provveditorato agli Studi di Como che in due abbi era stata presente in ufficio solo per 49 giorni pur continuando a ricevere lo stipendio tutti i mesi.
La donna era riuscita a procurarsi dei certificati medici che attestavano patologie anche se molto lievi.
Alle visite di controllo la ASL aveva confermato lo stato di malattia della dipendente. Per questo in primo grado Francesca era stata assolta. In appello, invece, i giudici la dichiararono colpevole di truffa in quanto "le visite di controllo a lei favorevoli, erano state condotte in modo superficiale e compiacente e certamente non sussisteva l' efficacia invalidante delle patologie addotte a giustificazione dei lunghissimi periodi di assenza dal lavoro".
Invano contro questo verdetto la statale assenteista ha protestato in Cassazione. La VI Sezione penale di Piazza Cavour, infatti, ha rigettato in pieno il suo ricorso.
Fonte: "Il Messaggero" 18/1/01 - Roma.

Commento: In attesa di conoscere in esteso le motivazioni della sentenza, e' interessante osservare come la Corte non abbia tenuto alcun conto ne' della certificazione del Medico di Famiglia, ne' di quella dei medici di controllo della ASL, considerandole tutte "superficiali e compiacenti".
Non sappiamo se e quali provvedimenti siano stati presi verso questi medici, ne' se il giudizio espresso dalla Corte (e dai Tribunali di merito prima) sia basato su una Consulenza Tecnica, e quali caratteristiche siano state prese in considerazione per il giudizio finale.
Ci sono pero' due considerazioni da fare: i medici di famiglia, trattandosi di dipendente statale, potrebbero aver certificato semplicemente, su ricettario intestato, la prognosi "clinica" di patologie magari banali, che la paziente potrebbe aver fatto valere, presso il proprio ufficio, come prognosi "lavorativa". I medici di controllo della ASL, invece, hanno lo specifico compito di valutare l' incidenza della malattia accusata sulla capacita' lavorativa del soggetto; non averlo fatto in modo adeguato puo' costituire elemento di negligenza o peggio. Le posizioni dei due sanitari, quindi, possono differire notevolmente.
E' ovvio, comunque, che per una valutazione precisa bisognera' valutare la sentenza in esteso.
Daniele Zamperini


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