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HCC: rischio influenzato da genotipo e carica virale
Inserito il 06 marzo 2005 da admin. - gastroenterologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Elevati livelli ematici di HBV DNA ed il genotipo C dell'HBV sono associati ad un aumento del rischio di insorgenza di epatocarcinoma (HCC).

Il livello di HBV DNA, ed il genotipo C dell'HBV aumentano il rischio di HCC. Il genotipo C è in causa in circa il 60 percento di tutti i casi di HCC. Solo in una frazione dei portatori di HBV si assiste allo sviluppo del tumore. La presenza di livelli di Hbv DNA superiori a 4,22log10 copie/ml comporta almeno il raddoppio del rischio di carcinoma epatocellulare. Questo limite definisce un valore di carica virale in base al quale valutare un trattamento in quanto in tal caso la risposta virologica può rappresentare un miglioramento clinico a lungo termine. L'approccio più sicuro per ridurre la mortalità da tumore epatico consiste nella prevenzione primaria del carcinoma epatocellulare mediante la vaccinazione anti-Hbv universale.
Fonte:
J Natl Cancer Inst 2005; 97: 245-6 e 265-72

Commento di Luca Puccetti

Sta per essere lanciato l'Entecavir promosso dagli Americani. Si sta dunque preparando un ben orchestrata campagna per inculcare la seguente tesi: le complicanze sono dovute alla carica virale, quanto più si abbassa la viremia tanto meglio è. Pertanto essendo che il nuovo antivirale che sta per essere lanciato diminuisce velocemente la viremia.....Purtroppo non è affatto così semplice. Gli amercicani non hanno mai dato molto credito all'IFN che invece rimane il farmaco ad azione sia antivirale (meno marcata rispetto agli analoghi nucleosidici/nucleotidici) sia immunomodulatrice. In un modello di malattia complessa come la malattia /infezione da HBV entrano in gioco numerosi fattori come il genotipo, la carica virale, la situazione di tolleranza immunitaria, la presenza di HBE la sieroconversione o meno, ceppi mutanti, la situazione di eventale immunoincompetenza dell'ospite etc., etc. I dati sembrano suggerire che in molti pazienti (anche se non in tutti) un trattamento con PEG -IFN abbia a lungo termine gli stessi risultati, su end points surrogati solidi, rispetto al trattamento combinato con analoghi. Occorre tenere presente che l'utilizzo a lungo termine, specie della Lamividuna, soprattutto senza IFN, induce la comparsa di resistenze. Dunque l'equazione abbasso la carica virale risolvo il problema non è una questione posta in modo corretto, per lo meno in una percentuale non trascurabile di pazienti.

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