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Terapia vaccinica (e altro) per il morbo di Alzheimer
Inserito il 27 maggio 2001 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  




Al Congresso Mondiale 2000 sulla malattia di Alzheimer, e’ stato annunciato di uno studio in fase 1 sulla terapia e prevenzione della malattia di Alzheimer. E’ stato il culmine di una serie di lavori precedenti che hanno studiato nei meccanismi molecolari del progresso della malattia. E’ noto come la progressione della malattia sia generalmente attribuita all’accumulo delle placche di sostanza amiloide nel tessuto cerebrale. Tale sostanza amiloide venne osservata originariamente come reperto autoptico nel cervello di cervello deceduti con demenza dallo studio tedesco Alois Alzheimer. Tali placche sono caratteristiche della malattia che ancora porta il suo nome.
Non e’ ancora noto in realta’ se le placche di amiloide rappresentino una causa della malattia o una sua conseguenza ma, sembra accertato che la progressione di queste placche danneggi i neuroni con la conseguenza che le sinapsi degenerino e i neuroni stessi possono finire col necrotizzarsi. Pertanto ridurre l’accumulo di sostanza amiloide potrebbe impedire o almeno ritardare l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Le placche di amiloide si formano sotto l’azione di due enzimi, beta- secretasi (soprattutto) e, secondariamente, la gamma-secretasi. Questi due enzimi agiscono su una proteina precursore dell’amiloide (APP) producendo placche, rispettivamente, di sostanza beta-amiloide (la piu’ importante, clinicamente) e gamma-amiloide.
I ricercatori hanno percio’ studiato dei topi geneticamente modificati immunizzati contro l' amiloide-beta purificato allo scopo di produrre anticorpi contro la forma a 42 aminoacidi dell’amiloide beta. In questi animali immunizzati si e’ osservata una marcata riduzione dei depositi di beta-amiloide fino alla quasi totale scomparsa. Una immunizzazione contro la variante beta dell’amiloide e’ stata effettuata anche su topi di eta’ piu’ avanzata in cui le placche si fossero ormai stabilizzate, ed anche in questo caso si e’ osservata una riduzione di oltre il 95% delle placche amiloidi.
Sono state poi trattate scimmie sane per accertare la sicurezza del farmaco, che sembra ben tollerato. E’ stato annunciato, nel corso del Convegno, che si sta ultimando un primo studio su 24 pazienti in tre diversi centri statunitensi; un analogo studio si sta effettuando in Inghilterra. Questi studi devono preliminarmente accertare la sicurezza del farmaco, che finora sembra effettivamente buona.
Studi comportamentali, effettuati per ora solo su animali, avrebbero confermato che al miglioramento anatomico corrisponde anche un miglioramento clinico e comportamentale. La grande novita’ del trattamento con vaccino consiste nel fatto che sembrerebbe in grado di modificare la storia naturale della malattia, cosa che i farmaci attualmente usati per la terapia (inibitori della acetilcolinesterasi) non sono capaci di fare. Gli studi finora effettuati hanno mostrato infatti come questi farmaci, benche’ capaci di migliorare entro un certo limite le capacita’ cognitive, non riescono a influire sulla successiva progressione della malattia.
I ricercatori stanno mettendo a punto anche altri farmaci, diversi da vaccini, che riescano a inibire la sintesi dell’amiloide, agendo sugli enzimi sintetasici (soprattutto la beta-sintetasi). Anche questi studi sono ai primi passi ma appaiono molto promettenti.
Un prodotto promettente appare la memantina, antagonista non competitivo della Nmetildiaspartato che agisce con un doppio meccanismo: a livello presinaptico modulando il neurotrasmettitore, e a livello postsinaptico come un antagonista. Di particolare interesse e’ il fatto che tale composto rallenta la progressione delle forme gravi di malattia nei pazienti in cui e’ stato sperimentato.
In uno studio controllato su 252 pazienti il farmaco ha dimostrato di aver sensibilmente rallentato la progressione della malattia di circa il 50% rispetto al gruppo trattato con placebo.
Un altro studio sulla memantina e’ stato effettuato in Europa e pubblicato nel 1999 con risultati che dimostravano un miglioramento funzionale nei pazienti e una riduzione delle necessita’ di assistenza. Quindi la manipolazione del recettore per la NMDA sembra una strada promettente nel trattamento nei pazienti col morbo di Alzheimer e forse piu’ in generale per il trattamento di tutte le forme di demenza. Gli studi sono in corso.
(JAMA - edizione italiana -Gennaio-Febbraio 2001, pag.33-35)


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