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Gestione della malattia da reflusso gastroesofageo in medicina generale
Inserito il 26 marzo 2001 da admin. - gastroenterologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  



La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) è molto diffusa, riduce notevolmente la qualità della vita e rappresenta un costo considerevole per il servizio sanitario. La maggior parte dei pazienti affetti sono gestiti nell’ambito della medicina generale. Il sintomo principale è la pirosi, e la qualità della vita è peggiorata in rapporto alla frequenza e alla gravità di questa, indipendentemente dalla gravità dell’esofagite. La pirosi è dovuta all’esposizione della mucosa esofagea all’acido e alla pepsina provenienti dallo stomaco. Un’accurata raccolta dell’anamnesi e dei sintomi del paziente è fondamentale per la diagnosi e la successiva gestione della MRGE. Fondamentale è la ricerca di sintomi di allarme, che rappresentano una indicazione per l’esame endoscopico. La diagnosi di MRGE si basa sulla presenza di pirosi per due o più giorni a settimana, sebbene una frequenza minore non escluda la diagnosi. La diagnosi è principalmente clinica. L’esperienza dimostra che tre quarti dei pazienti nei quali la pirosi è l’unico sintomo o il principale hanno una MRGE. La diagnosi è più accurata se la pirosi viene descritta come “sensazione di bruciore che sale dallo stomaco o dalla parte inferiore del torace verso il collo”.
Quando far eseguire una gastroscopia? Meno della metà dei pazienti affetti da MRGE hanno lesioni visibili all’esame endoscopico, pertanto l’endoscopia ha un ruolo limitato nella diagnosi di questa malattia. L’endoscopia è indicata nei seguenti casi:

Presenza di sintomi di allarme (disfagia, perdita di peso, sanguinamento, massa addominale)
Presenza di sintomi atipici (dolore toracico, tosse, raucedine, asma)
Sintomatologia refrattaria alla terapia
In vista di un intervento
Quando le rassicurazioni verbali non sono sufficienti
Quando i sintomi sono frequenti e durano da molto tempo
Per calibrare la terapia
Per scoprire e gestire l’esofago di Barrett.
Il referto dell’esame endoscopico dev’essere scritto con una terminologia standard, chiara, non ambigua. L’esofagite deve essere descritta accuratamente e stadiata, possibilmente secondo la classificazione di Los Angeles. La ripetizione dell’endoscopia è raramente giustificata in pazienti senza esofagite severa.
Terapia. E’ ormai dimostrato ampiamente che i farmaci più efficaci sono gli inibitori di pompa protonica, a dosi che possono variare da elevate, a standard, a dosi dimezzate, seguiti da H2-antagonisti e antiacidi. La cisapride, che ha effetti paragonabili agli H2-antagonisti, non è più utilizzabile a causa degli effetti collaterali cardiaci. (N.d.R.: gli altri farmaci procinetici, quali il domperidone o la levosulpiride, sono nettamente meno efficaci della cisapride).
Strategie per un trattamento iniziale. E’ importante spiegare i sintomi al paziente e rassicurarlo. Bisogna inoltre dare consigli sullo stile di vita, come l’evitare determinati cibi e bevande che possono esacerbare i sintomi. E’ consigliabile iniziare una terapia con inibitori di pompa protonica a dosaggio pieno, standard. A volte, con funzione di test, si può fare una terapia a dosaggio più elevato per 1-2 settimane. L’eradicazione dell’Helicobacter pylori non guarisce l’esofagite e non previene le recidive della MRGE.
Strategie per la gestione a lungo termine. La maggior parte dei pazienti richiede una terapia a lungo termine. Il principio guida è quello di utilizzare il dosaggio minimo efficace. Gli unici pazienti nei quali la dose iniziale non dev’essere ridotta sono quelli con esofagite severa (gradi C e D di Los Angeles). I pazienti nei quali i sintomi non sono ben controllati dovrebbero eseguire una gastroscopia. La chirurgia antireflusso può rappresentare un’opzione attraente per alcuni pazienti, in quanto può eliminare la necessità di assumere farmaci per tutta la vita. In un follow-up a cinque anni la chirurgia antireflusso e la terapia con inibitori di pompa protonica a dosi standard hanno dimostrato di essere ugualmente efficaci. Bisognerebbe tener conto delle preferenze dei pazienti, informandoli adeguatamente sui rischi e i benefici delle due terapie. La chirurgia antireflusso implica una probabilità di morte dello 0.2%, e una morbilità maggiore.
British Medica Journal, 10 febbraio 2001


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