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Essere un medico: il guaritore alternativo
Inserito il 30 ottobre 2000 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

di Dean Gianakos, MD


L’insegna sulla porta diceva: Professionista di arti terapeutiche alternative. Mi sono seduto rapidamente nella sala d’attesa. Tappeti, tende, e un caminetto nell’angolo che mi riscaldava. Ho visto alcune facce sorridenti (pazienti abituali?) mentre prendevo una rivista che stava su un vecchio tavolo di mogano. Dopo essere stato chiamato dalla segretaria alcuni minuti più tardi, una cordiale infermiera mi ha portato in una sala da visite.
Il medico si è presentato come un professionista di medicina alternativa. Indossava abiti comodi e sembrava non avesse fretta. Dopo qualche educata battuta sul tempo e sui politici, mi ha chiesto notizie sulla mia famiglia e la mia professione. Sembrava veramente interessato. Voleva sapere quali fossero le mie aspirazioni durante l’adolescenza (io ho 37 anni), intuendo che mi sarebbe piaciuto diventare più di quello che sono.
Mi hanno sorpreso le sue domande franche, aperte: “Cosa la porta oggi nel mio ufficio? In che modo posso aiutarla?” Mentre gli rispondevo mi interrompeva raramente e, se lo faceva, io ne ero acutamente consapevole. Egli mi sedeva abbastanza vicino da farmi sentire quanto fosse coinvolto e interessato, ma non così vicino da essere invadente. Annuiva con la testa spesso e al momento giusto, a volte sorrideva, e ha perfino riso. C’era in lui questa incredibile leggerezza e semplicità, che mi permetteva di dire quasi ogni cosa. Io mi sono sentito meglio prima ancora che mi visitasse. In realtà, mi sono sentito meglio pochi minuti dopo che ci siamo incontrati. I suoi occhi, le espressioni e i gesti facevano per lui la maggior parte del lavoro. Le parole erano importanti, ma il tono, l’inflessione e la dolcezza erano più suggestivi. Dopo che ho risposto a qualcuna delle sue domande generiche (ero stato lì per un’ora? Non c’era orologio alla parete, e ho notato che non portava un orologio al polso) egli ha sistematicamente rivisto la mia storia medica presente e passata. Mi ha posto domande su tutti gli apparati organici. Pazientemente ha controllato le mie terapie. Mi ha visitato, dalla testa ai piedi. (Mi ha guardato dentro le orecchie – perché? Non avevo riferito problemi al riguardo!). Mi ha misurato di nuovo la pressione arteriosa. Non ricordo che la sua mano abbia mai lasciato la mia spalla.
Dopo la visita, l’ho seguito nel suo ufficio, dove egli si è seduto su una consunta sedia di cuoio. Ha continuato a rispondere a ogni domanda che facevo, non dando mai l’impressione di essere disturbato da qualcosa che per lui fosse semplice o ovvio. Mi ha spiegato le terapie nuove che mi stava prescrivendo e la scienza che ne supportava robustamente l’utilizzo. Abbiamo parlato dell’opportunità di riservare un po’ di tempo alla cura di se stessi. Egli ha detto qualche altra cosa. Io ho ascoltato. L’ho ringraziato parecchie volte prima di andare perché mi fosse prelevato il sangue e fatte le radiografie.
Mentre andavo verso la mia macchina con in mano il foglietto di un nuovo appuntamento, ho guardato il mio orologio e con calma l’ho sganciato. Era tempo di tornare ai miei pazienti.
Annals of Internal Medicine, 3 ottobre 2000
N.d.r.: Ho voluto inserire questo articolo come una provocazione per i colleghi. Il terapeuta alternativo utilizza splendidamente quella che forse è la terapia migliore, ossia se stesso e la sua capacità di comunicare all’altro, all’uomo che gli sta di fronte. Le cosiddette medicine alternative si vantano di curare l’uomo, non la malattia. Ma proprio il rapporto col paziente è un punto di forza del nostro essere medici di famiglia: noi curiamo “persone”. Riappropriamoci di questa nostra caratteristica e rafforziamola. A. S.


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