"Scienza e Professione"
Mensile di informazione e varie attualita' - Reg. Trib. Roma n. 397/2004 del 7/10/2004
Resp.:   Daniele Zamperini  O.M. Roma 19738 - O. d. G. Lazio e Molise 073422   
Versione ufficiale delle  
"PILLOLE DI MEDICINA TELEMATICA" attive dal 1998

Patrocinate da - O.M. della Provincia di Padova - SIMG-Roma -  A. S. M. L. U. C. - Medico&Leggi -

N. 2, anno 1, Dicembre  2004

Redazione: Luca Puccetti (webmaster), Marco Venuti (aggiornamento legale), Raimondo Farinacci, Giuseppe Ressa, Renato Rossi, Guido Zamperini. Per iscriversi: richiesta a dzamperini@tiscali.it. Archivio generale di oltre 1500 articoli e varie risorse aggiuntive su http://www.pillole.org/ (consigliato) oppure (vecchia versione) su www.scienzaeprofessione.it Il nostro materiale, salvo diverse specificazioni,  è liberamente utilizzabile per uso privato. Riproduzione consentita citando la fonte.


INDICE GENERALE 

PILLOLE
- Le proteine vegetali diminuiscono il rischio di colecistectomia
- Il Paracetamolo impiegato per lunghi periodi può causare danni renali
- Come la febbre dei figli allarma le mamme
- I triptani nell' emicrania non sono associati ad un aumento del rischio di ictus o di infarto
- Un cuore artificiale ben funzionante
- L'obesità aumenta il rischio di aborto spontaneo
-
Ecolucenza della placca carotidea evidenzia il rischio di ictus dopo stent carotideo
- Effetti dei supplementi di alfa-Tocoferolo e di beta-Carotene sui differenti tipi di ictus
- Metformina efficace nell'infertilità da ovaio policistico resistente al clomifene
- RMN meglio della TAC senza MdC nella diagnosi dell'ictus emorragico
- La terapia-ponte con eparina non e' scevra da rischi nei soggetti che interrompono la TAO
- BPCO: utile la somministrazione di testosterone  (Segnalata da Mauro Barsotti)
- La riscossa dell'elettroshock
- I nottambuli hanno la salute a rischio
- Interferone alfa efficace nel morbo di La Peyronie
- Le prime critiche alle nuove note AIFA (ex note Cuf) Di Massimo Tombesi
- "Vedere il problema": fisiologia dei Punti di Vista
- Come l' aggancio emozionale facilita la rievocazione del ricordo
- Il calo del triptofano innesca mutamenti dell’attività cerebrale.

- News prescrittive (dalla Gazzetta Ufficiale): (a cura di Marco Venuti)


CASI CLINICI
- I CASI DEL DOTT. CRETINETTI :  
Nando il "fiumarolo" (di Giuseppe Ressa)


APPROFONDIMENTI
- I farmaci generici: una diffidenza non del tutto ingiustificata (Daniele Zamperini)


IL DIBATTITO
-
La guerra del latte artificiale (di Luca Puccetti)
- Quel virus sintetico che ci avvicina alla creazione dell'uomo
(di Massimiliano Fanni Canelles)
- Rofecoxib: doveva essere ritirato prima? La saga continua... (di Luca Puccetti)


MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Di Daniele Zamperini per ASMLUC: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica.

- Il medico e' innocente se il suo intervento non ha possibilita' di successo (Sentenza)
- Privacy: prorogato il termine per il Documento Programmatico della Sicurezza
- Il Documento Programmatico sulla Sicurezza: una formalita', ma fino ad un certo punto
-
Tassa sulle targhe professionali: e' illegittima ma qualcuno ancora ci prova

- Il medico e la legge: cap. 3:  Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: distinzione e tentativi di superamento (Avv. Nicola Todeschini)
- Il medico e la legge: cap 4 L'art. 2236 cod. civ. e la sua applicabilità anche al di fuori dell'ambito civilistico (Avv. Nicola Todeschini)
-
Il medico e la legge: cap. 5 Spunti di riflessione sul concetto di diligenza (Avv. Nicola Todeschini)


PROFESSIONE

- Notificazione obbligatoria della rosolia congenita
 
- Il Presidente FNOMCeO Del Barone difende i medici dalle facili accuse


-- LE NOVITA' DELLA LEGGE (Di Marco Venuti): Novembre 2004
Su www.medicoeleggi.it/pillole/freeconsult.htm Marco Venuti mette a disposizione una serie di articoli su problemi connessi alla prescrizione dei farmaci.


AVVISI IMPORTANTI

PUBBLICATE LE NUOVE NOTE CUF (Note AIFA) in vigore dal 19/11/2004
Sono stati individuati numerosi e gravi problemi, di cui si chiede la correzione (v. nell' indice una sintesi di M. Tombesi).
Le nuove Note, sono presentate in varie versioni, scaricabili, su www.pillole.org , su www.scienzaeprofessione.it e su www.medicoeleggi.it
ATTENZIONE: gia' una correzione sulla G.U.: la nota 89 non prevede piu' il Piano Terapeutico.
Siccome sono previste altre modifiche, tra qualche giorno provvederemo a pubblicare la versione corretta.

IL MANUALE DI CLINICA PRATICA
Sul sito http://www.pillole.org/ viene pubblicato il "Manuale di clinica pratica", di R. Rossi e G. Ressa, con la collaborazione di vari altri colleghi. Il testo e' presentato sotto una veste innovativa con presentazione di casi "pratici", discussi in forma di dialogo, tenendo conto delle effettive problematiche che investono il medico pratico, ulteriormente ravvivato dai "casi clinici del dott. Cretinetti". L' opera e' di libero uso esclusivamente personale; non e' consentito alcun uso commerciale o di qualunque altro genere senza il consenso degli autori.
I vari capitoli saranno pubblicati un po' per volta, con cadenza settimanale. L' indice e' su
http://www.pillole.org/public/aspnuke/indicelibro.asp ma consigliamo di accedere dalla directory.
Il capitolo di medicina legale verra' pubblicato a parte anche su http://www.scienzaeprofessione.it/

IL MEDICO E LA LEGGE
Continua la pubblicazione, per gentile concessione dell' Avv. Nicola Todeschini,  del compendio legale sulla Responsabilita' del Medico.
Utilissimo per poter valutare il punto di vista del giurista, e dirigere la navigazione professionale in acque possibilmente piu' tranquille. L' opera, pubblicata a puntate su questa rivista, viene contemporaneamente messa a disposizione (versione integrata scaricabile) sia sul sito http://www.pillole.org/ che su  http://www.scienzaeprofessione.it/

NUOVO BOLLETTINO DI INFORMAZIONE
Come era stato preannunciato, e' in costituzione un nuovo Bollettino, a frequenza di uscita varibile, che si affianchera' a "Scienza e Professione" allo scopo di trasmettere informazioni rapide e urgenti, che non possono aspettare l' uscita mensile della nostra rivista. Il bollettino sichiama "MEDICINA DEL TERRITORIO". Invitiamo i nostri iscritti a sottoscrivere questa lista per non restare esclusi dal flusso informativo.
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"PILLOLE"

A - Le proteine vegetali diminuiscono il rischio di colecistectomia
E’ stata esaminata la relazione tra assunzione di proteine con la dieta e rischio di colecistectomia tra le partecipanti al Nurses’ Health Study, uno studio di coorte di donne negli Usa.
Nel corso dei 20 anni di follow-up ( 1980-2000 ), sono stati documentati 7.831 casi di colecistectomia.
Dopo aggiustamenti, il rischio relativo di colecistectomia per le donne nel quintile superiore di assunzione di proteine con la dieta rispetto alle donne nel quintile inferiore è risultato uguale ad 1.
Quando i quintili estremi sono stati confrontati, il rischio relativo per l’assunzione di proteine animali è stato 1,07, mentre il rischio relativo per le proteine vegetali è stato 0,79.
Questi risultati indicano che un aumento del consumo di proteine vegetali nel contesto di una dieta bilanciata può ridurre il rischio di colecistectomia nelle donne.
Am J Epidemiol 2004; 160: 11-18

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B - Il Paracetamolo impiegato per lunghi periodi può causare danni renali

La nozione che il Paracetamolo possa, in certi casi, essere nefrotossico, non e' certo nuova, ma questo studio ne precisa alcuni aspetti importanti
I ricercatori hanno dimostrato che le donne che assumono per lungo tempo il Paracetamolo, noto anche come Acetaminofene, possono andare incontro a danni renali anche se le dosi sono relativamente basse.
I Ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston hanno infatti trovato che le donne che assumono tra le 3 e le 17 compresse di Paracetamolo alla settimana hanno un rischio di danni renali aumentato del 64% rispetto alle donne che non ne fanno uso o lo usano solo raramente.
Non sono invece stati riscontrati effetti indesiderati a livello renale tra le donne che hanno fatto impiego per lungo periodo di Aspirina o Ibuprofene.
Archives of Internal Medicine, 2004

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C Come la febbre dei figli allarma le mamme

L' Italia, un popolo di "mammoni"? E' ben nota, ai medici, la sindrome d' allarme che colpisce le mamme allorche' i "figlioli" (di qualsiasi eta', ma in modo particolare se bambini) si ammalino di una malattia febbrile.
La ricerca 'Le mamme e la salute dei figli' promossa da Boots Healthcare Italia, ha confermato, qualora ce ne fosse bisogno, che la febbre allarma otto mamme su dieci, anche se quasi tutte affermano di preoccuparsi davvero a partire dai 38-39 gradi di temperatura.
La ricerca ha coinvolto, mediante interviste telefoniche, 200 mamme di eta' compresa tra i 20 e i 45 anni aventi figli di eta' tra i 6 mesi e i 10 anni. Le mamme sembrerebbero comunque (almeno dai dati delle interviste) avere acquisito un atteggiamento abbastanza razionale in tali circostanze, riuscendo spesso a discriminare le patologie piu' banali da quelle che presentino effettivamente sintomi d' allarme. Anche il padre sembra uscirne abbastanza bene, cosi' come il pediatra, mente la nonna e' vbista in modo ambivalente, a volte ansiogena.
Per l'80% delle mamme la febbre evoca sentimenti allarmistici (dal 46% di preoccupazione al 17% di apprensione fino al 3% di paura e l'1% di terrore). Solo il 20%, invece, dichiara di non essere minimamente preoccupato.
La soglia di preoccupazione, per il 78% del campione  si situa sui 38,5-39 gradi, mentre un 10% di "coraggiose"  inizia a peoccuparsi solo ai 40 gradi.
La reazione delle mamme? al primo posto la richiesta di consiglio al medico ( capace di tranquillizzarne l' 80% e di alleviare l' ansia in alto 11%.
Naturalmente la malattia del figlio comporta una serie di modifiche della routine familiare: maggiori concessioni "consolatorie" ai figli, cambiamento dei ritmi di vita, maggiore presenza in casa dei genitori (soprattutto della mamma).
Un quadro non malvagio, tutto sommato...
Guido Zamperini. Fonte: ANSA 16/2

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D I triptani nell' emicrania non sono associati ad un aumento del rischio di ictus o di infarto
L’obiettivo dello studio è stato quello di valutare l’incidenza di eventi vascolari in relazione all’impiego dei triptani e degli alcaloidi della segale cornuta ( ergot ) tra le persone che soffrono di emicrania rispetto a coloro che non soffrono di emicrania. E’ stato ipotizzato che l’impiego dei triptani o dei farmaci a base di alcaloidi della segale cornuta potesse incrementare il rischio di eventi ischemici per vasocostrizione.
E’ stato condotto uno studio retrospettivo di coorte su 130.411 persone con emicrania e su 130.411 persone senza emicrania. Gli outcome misurati sono stati l’incidenza di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari e la mortalità. Le persone che soffrono di emicrania e quelle che non ne soffrono hanno presentato la stessa incidenza di insorgenza di infarto miocardico ( 1.4 per 1.000 persone/anno ). Le persone con emicrania avevano una probabilità maggiore del 67% di essere colpiti da un ictus rispetto alle persone senza emicrania ( rischio relativo aggiustato, RR = 1.67 ), con più alte percentuali di manifestare angina instabile ed attacchi ischemici transitori ( TIA ).
Non è stato riscontrato un incremento del rischio di infarto miocardico con l’impiego corrente o recente di triptano ( RR aggiustato = 0.80 e 1.15, rispettivamente ).
Il rischio di insorgenza di ictus non è stato correlato con l’impiego né corrente ( RR aggiustato = 0.90 ) né recente ( RR aggiustato = 0.84 ) di triptano.
Coloro che facevano uso corrente di alcaloidi della segale cornuta hanno presentato una maggiore probabilità di essere colpiti da ictus ( RR aggiustato = 1.49 ), ma non è stata riscontrata alcuna relazione dose-risposta.
Questo studio ha dimostrato che l’impiego dei triptani non è associato ad un incremento del rischio di eventi ischemici, quali l’infarto miocardico e l’ictus, o di mortalità.
Coloro che soffrono di emicrania, in generale, manifestano un elevato rischio di insorgenza di ictu s, ma non di infarto miocardico rispetto a coloro che non soffrono di emicrania.
Headache 2004; 44: 642-651

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E - Un cuore artificiale ben funzionante

Il CardioWest Total Artificial Heart (CWTAH) sostituisce sia i ventricoli che le valvole, eliminando così i problemi di insufficienza cardiaca sinistra, rigurgito valvolare, aritmie cardiache, coaguli ventricolari, comunicazione intraventricolare e ridotto flusso sanguigno che si riscontrano nel periodo di attesa del trapianto di cuore.
Lo studio è prospettico, non randomizzato su 81 pazienti che in attesa di trapianto di cuore necessitavano di una soluzione ponte a causa del rischio di morte imminente per insufficienza biventricolare che hanno ricevuto l'impianto di un cuore artificiale, il CardioWest Total Artificial Heart . Il controllo è stato effettuato con i pazienti in condizioni simili trattati con altre metodiche. L'end point principale era la sopravvivenza prima e dopo il trapianto.
Il 79% (95 % CI, 68- 87 %) dei pazienti che ha ricevuto il CWTAH è sopravvissuto prima del trapianto contro il 46% (P<0.001) che pur trovandosi in condizioni simili non ha ricevuto il CWTAH. Il tasso di sopravvivenza ad 1 anno dal trapianto dei pazienti che ha ricevuto il CWTAH è risultato del 70% in confronto al 31% dei controlli (P<0.001). La sopravvivenza ad un anno ed a 5 anni dei pazienti in cui è stato eseguito il trapianto di cuore e che prima del trapianto avevano ricevuto il CWTAH è risultata dell'86 e 64 % rispettivamente .

fonte: NEJM 2004; 351:859-867

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F - L'obesità aumenta il rischio di aborto spontaneo
L'obiettivo dello studio, coordinato dalla Sheffield University in Gran Bretagna, è stato quello di valutare l'impatto dell'obesità sul rischio di aborto spontaneo.Le donne obese, definite con un indice di massa corporea ( BMI ) superiore a 30 Kg/m2, sono state confrontate con donne con BMI normale ( 19-24,9 kg/m2 ).Sono state incluse nello studio solo donne primipare.L'aborto spontaneo precoce è stato definito come aborto entro 6-12 settimane di gestazione, quello tardivo entro 12-24 settimane di gestazione, mentre il termine aborti spontanei precoci ricorrenti ( REM ) indicava 3 aborti spontanei successivi entro 12 settimane.Hanno preso parte allo studio 1.644 donne obese e 3.288 donne con normale peso corporeo.L'età media era di 26,6 anni.Il rischio di aborto spontaneo precoce e di aborto spontaneo precoce ricorrente è risultato più alto tra le pazienti obese ( odds ratio: 1,2 e 3,5, rispettivamente; P = 0,04, per entrambi). L'obesità è risultata associata ad un aumentato rischio di aborto spontaneo nel primo trimestre, e ad aborto ricorrente.
Hum Reprod 2004

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G - Ecolucenza della placca carotidea evidenzia il rischio di ictus dopo stent carotideo
L’impianto di stent a livello dell’arteria carotidea rappresenta una potenziale alternativa all’endarterectomia carotidea.
Tuttavia l’embolizzazione cerebrale è la più grave complicanza dello stenting all’arteria carotidea.
L’ecogenicità della placca carotidea è ritenuta essere uno dei fattori di rischio.
Uno studio, coordinato da Ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, ha analizzato il ruolo di un indice di ecogenicità, denominato GSM ( gray-scale median ) sul rischio di ictus durante impianto di stent. Il registro ICAROS ( Imaging in Carotid Angioplasty and Risk of Stroke ) comprendeva 418 casi di stenting all’arteria carotidea. La percentuale di complicanze neurologiche è stata del 3.6% ( ictus minori: 2.2%, ictus maggiori: 1.4% ). L’ecolucenza della placca carotidea, misurata come GSM inferiore o uguale a 25, ha aumentato il rischio di ictus nell’impianto di stent all’arteria carotidea. Secondo gli Autori l’ecolucenza della placca carotidea permette di stratificare i pazienti secondo differenti rischi di complicanze dopo un impianto di stent a livello carotideo
Circulation 2004; 110: 756-762

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H - Effetti dei supplementi di alfa-Tocoferolo e di beta-Carotene sui differenti tipi di ictus
Nello studio Alpha Tocopherol, Beta Carotene Cancer Prevention Study, supplementi di alfa-Tocoferolo hanno diminuito il rischio di ictus del 14%, mentre il beta-Carotene ha aumentato il rischio di emorragie intracerebrali del 62%. In questo studio sono stati illustrati gli effetti post-intervento a 6 anni di supplementi di alfa-Tocoferolo e di beta-Carotene sull’ictus e sui suoi sottotipi.Un totale di 29.133 uomini fumatori, di età compresa tra i 50 ed i 69 anni, ha ricevuto, in modo random, giornalmente, alfa-Tocoferolo ( 50mg ), beta-Carotene ( 20mg ), entrambi o placebo per 5-8 anni. All’inizio del follow-up post-trial 24.382 uomini erano ancora a rischio di un primo evento di ictus. Durante il follow-up post-trial , 1.327 uomini sono stati colpiti da ictus ( 1.087 infarti cerebrali, 148 emorragie intracerebrali, 64 emorragie subaracnoidee e 28 ictus non specificati
Il rischio post-trial di infarto cerebrale è risultato elevato tra coloro che hanno ricevuto alfa-Tocoferolo rispetto a quelli che non l’hanno assunto ( RR, relative risk = 1.13 ), mentre non sono stati osservati effetti con il beta-Carotene ( RR = 0.97 ).
I supplementi di alfa-Tocoferolo sono stati associati ad un rischio relativo post-intervento di 1.01 per l’emorragia intracerebrale e di 1.38 per l’emorragia subaracnoidea.
Il rischio relativo con i supplementi di beta-Carotene è stato 1.38 e 1.09, rispettivamente.
Dallo studio è emerso che né i supplementi di alfa-Tocoferolo né di beta-Carotene hanno alcun effetto preventivo post-intervento sull’ictus.
Stroke 2004; 35:1908-1913

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I - Metformina efficace nell'infertilità da ovaio policistico resistente al clomifene

La metformina risulta più efficace della diatermia ovarica laparoscopica (DOL) nel ripristinare la capacità riproduttiva in donne con sindrome dell'ovaio policistico (PCOS) resistenti al clomifene citrato.

La PCOS è una condizione associata con la resistenza all' insulina, obesità, disordini metabolici, iperandrogenismo, anovulazione, sterilità e irregolarità mestruali. L' eziologia è incerta, ma le teorie correnti danno risalto alle origini genetiche ed intrauterine accoppiate con fattori ambientali quali la dieta ed i modelli alterati dello stile di vita.
Oltre al dimagrimento ed alle modifiche dello stile di vita, che rimangono strategie di primo livello per la PCOS, il trattamento contempla l'utilizzo, in prima istanza, del clomifene, e, in caso di insuccesso, della metformina, delle follicotropine o delle tecniche endoscopiche diatermiche.
Mentre la somministrazione di gonadotropine è caratterizzata dalla frequente insorgenza di effetti collaterali, sia la metformina che la DOL sono molto ben tollerate e migliorano entrambe il quadro endocrino e metabolico. Nel presente studio, realizzato da ricercatori italiani delle università di Catanzaro e di Napoli e del St. Mary di Londra, 120 donne obese con cicli anovulatori che non avevano risposto ad una precedente terapia con clomifene citrato sono state randomizzate in due gruppi. Un gruppo è stato sottoposto ad una laparoscopia diagnostica, mentre l'altro ad una DOL. Il primo gruppo è stato successivamente trattato con metformina 850 mg 2 volte al dì per 6 mesi mentre il gruppo trattato con DOL ha ricevuto un trattamento multivitaminico. Durante lo studio non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi per quanto concerne l'incidenza dell'ovulazione (54.8 vs. 55.1%), ma a dispetto di ciò il tasso di gravidanze (18.6 vs. 13.4%), di aborti (15.4 vs. 29.0%), e di nati vivi (82.1 vs. 64.5%) sono risultate significativamente migliori nel gruppo metformina (P < 0.05). Entrambe le tecniche sono risultate efficaci nell'indurre l'ovulazione, ma la metformina ha garantito maggiori vantaggi per quanto riguarda i tassi di gravidanza, aborto e nascite di bambini vivi.
Fonte: J Clin Endocrinol Metab 2004;89:4797-4809

Commento:
La DOL è stata proposta come terapia alternativa per le donne con PCOS resistenti al clomifene. Questa procedura comporta rischi di complicazioni chirurgiche legati all'anestesia. Il vantaggio della DOL è che è possibile valutare in una singola procedura la pervietà delle tube e che sembra ristabilire l'ovulazione in un numero notevole di pazienti. Le concentrazioni nel siero di LH e del testoterone diminuiscono velocemente e l'effetto perdura a lungo. I tassi di gravidanza e di ovulazione risultano aumentati sostanzialmente dopo la DOL.
La metformina erà già risultata efficace nella PCOS, sia in associazione con le modifiche dello stile di vita che in associazione al clomifene, tanto che anche una revisione sistematica della Cochrane ne aveva sancito l'efficacia in questa condizione *.
In questo studio la metformina è risultata più efficace della DOL nel ripristinare la capacità riproduttiva nelle donne resistenti al clomifene. La metformina inoltre è più economica della DOL e non comporta i rischi connessi con la laparoscopia e l'anestesia generale. Rimangono da valutare tuttavia gli effetti a lungo termine dei due trattamenti, sia sulla capacità riproduttiva che sull'assetto metabolico.
Luca Puccetti
* Lord JM, Flight IH, Norman RJ 2003 Insulin-sensitizing drugs (metformin, troglitazone, rosiglitazone, pioglitazone, D-chiro-inositol) for polycystic ovary syndrome. Cochrane Database Syst Rev:CD003053

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L - RMN meglio della TAC senza MdC nella diagnosi dell'ictus emorragico

La Risonanza magnetica nucleare (RMN) è accurata quanto la tomografia assiale computerizzata (TAC) senza mezzo di contrasto (MdC) nella diagnosi degli ictus emorragici acuti, ma è nettamente superiore nell'dentificazione delle emorragie cerebrali croniche.
L'arruolamento è stato stoppato a 200 pazienti dal comitato etico allorquando è apparso chiaro che la RMN era superiore nella diagnostica dei pazienti con sintomi suggestivi di ictus evidenziando emorragie non rivelate dalla TAC senza MdC.
La RMN è risultata infatti positiva in in 71 pazienti, la TAC in 29 (P<.001). nella diagnosi delle emorragie acute le due metodiche sono risultate equivalenti, (96% di concordanza).Una emorragia cuta è stat diagnosticata in 25 pazienti sia con RMN che con TAC. In 4 ulteriori pazienti l'emorragia era evidente alla RMN, ma non alla TAC senza MdC, ed è stat interpretratta in tutti e quattro i casi come infarcimento emorragico di una lesione primitivamente ischemica. In 3 pazienti le lesioni sono state interpretrate come emorragie acute con la TAC e croniche con la RMN. Un caso di emorragia subaracnoidea è stato identificato solo con la TAC. In 49 pazienti, la maggior parte dei quali con microsanguinamenti, l'emorragia è stata evidenziata solo con la RMN.
fonte: JAMA. 2004;292:1823-1830

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M - La terapia-ponte con eparina non e' scevra da rischi nei soggetti che interrompono la TAO

La terapia anticoagulante sostitutiva con eparina a basso peso molecolare (EBPM) nei pazienti in trattamento con anticoagulanti orali (TAO), per protesi valvolare o fibrillazione atriale, che devono interrompere la TAO per sottoporsi ad un intervento chirurgico, non è scevra da complicazioni tromboemboliche ed emorragiche.
Quando gli anticoagulanti (ACO) vengono sospesi in occasione di un intervento chirurgico, si utilizza in sostituzione l'eparina. In questo studio prospettico, monocentrico, pazienti ad elevato rischio tromboembolico (per protesizzazione valvolare cardiaca o fibrillazione atriale) sono stati sottoposti all’interruzione del trattamento anticoagulante 5 giorni prima dell’intervento chirurgico, e trattati con EBPM nei 3 giorni precedenti e per almeno 4 giorni dopo l’intervento. Tra i 224 pazienti arruolati, 8 pazienti (3.6%; 95% CI, 1.8-6.9) hanno presentato un episodio tromboembolico tra cui 6 episodi sono insorti dopo sospensione della TAO per emorragie. Sono stati osservati 15 episodi di sanguinamento maggiore (6.7%, 95% CI, 4.1-10.8) di cui 8 durante l’intervento o immediatamente dopo, prima che l’EBPM fosse stata ripresa, 5 nel periodo postoperatorio durante il quale la EBPM era stata ripresa e 2 dopo che la EBPM era stata cessata. Nessun paziente è deceduto. La terapia anticoagulante sostitutiva con EBPM nei pazienti in TAO che si devono sottoporre ad un intervento chirurgico è fattibile, ma può associarsi ad eventi tromboembolici ed emorragici.
fonte : Circulation 2004; 110: 1658-1663 segnalata da: Notiziario di FIRENZE MEDICA-SIMeF n.418

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N - BPCO: utile la somministrazione di testosterone  (Segnalata da Mauro Barsotti)

La somministrazione di testosterone in uomini con BPCO e bassi  livelli di testosterone migliora la percentuale di massa magra e la forza  fisica senza effetti collaterali significativi. Il malfunzionamento dei  muscoli deambulatori contribuisce all'intolleranza all'esercizio nella  BPCO: gli uomini con BPCO presentano un'elevata prevalenza di  bassi livelli di testosterone, il che può contribuire alla debolezza  muscolare. Il presente studio è il primo a dimostrare che la  somministrazione di steroidi androgeni è seguita da un aumento  della forza fisica nella BPCO, e manifesta la possibilità che  L'aggiunta della somministrazione di tale ormone e l'esercizio di  resistenza possa essere utile nei programmi riabilitativi per uomini  monitorati attentamente con BPCO e bassi livelli di testosterone.  Un'altra priorità sarà rappresentata dalla conduzione di studi su  donne con BPCO per determinare se possano essere ottenuti  miglioramenti in massa e forza muscolare con dosi di testosterone  che non diano luogo ad effetti virilizzanti inaccettabili.
(Am J Resp  Crit Care Med. 2004;170:870-878)

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O - La riscossa dell'elettroshock

La terapia elettroconvulsiva migliorerebbe l'umore, la qualità della vita e la capacità di compiere le attività quotidiane nei pazienti con depressione severa in bae ai risultati di una ricerca della Wake Forest University Baptist Medical Center di Winston-Salem, North Carolina - USA.

Lo studio ha considerato 77 depressi gravi, sottoposti a test valutativi e analisi cliniche effettuate sia prima l'elettroterapia che immediatamente dopo e successivamente a due e quattro settimane.
Il 66 per cento dei pazienti ha presentato un miglioramento relativamente a tono dell'umore, stato cognitivo e qualità della vita già a partire dalla seconda settimana post trattamento.
fonte: The British Journal of Psychiatry (2004) 185: 405-409
Link: http://bjp.rcpsych.org/cgi/content/abstract/185/5/405
segnalato da: NEWSLETTER MDF News

Commento di Luca Puccetti
Corsi e ricorsi non solo storici, ma anche scientifici o per meglio dire parascientifici.
Il Britain's National Institute of Clinical Excellence (NICE), ha raccomandato forti limitazioni all'impiego dell'elettroschock, sconsigliandone un utilizzo come terapia di mantenimento nella depressione.
http://www.nice.org.uk/pdf/59ectfullguidance.pdf
Già nel 2003 una revisione sistematica ad opera di John Geddes, Department of Psychiatry, University of Oxford, pubblicata su Lancet (Lancet 2003; 361: 799-808 ), aveva rilevato che la terapia elettroconvulsivante è efficace nel trattamento della depressione e persino migliore dei farmaci nel breve periodo, tuttavia erano stati evidenziati deficit a carico della memoria.
L'elettroshock è in uso dal 1930 ed è stato spesso oggetto di feroci polemiche e diatribe più ideologiche che scientifiche.
In Italia la polemica divampò nel 1999 allorquando l'allora ministro Rosi Bindi emanò una circolare, indirizzata agli assessorati regionali alla sanità e ai servizi psichiatrici, nella quale si trasmetteva il parere del CSS che definiva l'elettroschock un "un presidio di provata efficacia in patologie specifiche tra le quali alcune forme di depressione". Nella circolare si raccomandava: «un'attenta vigilanza sui possibili abusi, sottolineando che la terapia elettroconvulsivante pone controindicazioni di natura strettamente medica alquanto limitate, non provoca danni fisiologici e ha effetti collaterali moderati e circoscritti nel tempo. Il suo impiego è quindi motivato dall'obbligo primario e ineludibile di salvare la vita del paziente e di tutelarne la salute, primo tra gli obblighi deontologici del medico. L'evidenza d'efficacia pone anche la questione se sia giusto relegare l'intervento al ruolo di ultima scelta sottoponendo i pazienti a lunghi periodi di tentativi farmacologici e inutili sofferenze».
http://www.no-guide.info/xstop/Stampa%20e%20articoli/Il%20Manifesto.php

Tra i più accesi oppositori ci fu l'onorevole Antonio Guidi, psichiatra e membro della Commissione affari sociali della Camera che sentenziò: «Da decenni l'uso e l'abuso dell'elettroshock appartengono alle forme più deteriori della psichiatria ed ora questa tecnica obsoleta e dannosa viene avallata e diventa una terapia di stato.».
Speriamo che questo ulteriore contributo riporti la questione dove dovrebbe stare ossia nell'ambito di un dibattito scientifico e non di una discussione emotiva e preconcetta su argomenti che purtroppo meritano invece tutto il nostro rigore metodologico e la nostra indipendenza di giudizio professionale. Chi ha avuto la ventura di imbattersi in un catatonico grave puo' rendersi conto di quando la ECT sia una strada da praticare o meno.

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P - I nottambuli hanno la salute a rischio

Se la maggior parte delle persone può decidere quando andare a dormire, lo stesso non succede per quanto riguarda l’ora di svegliarsi. Infatti l’ora della sveglia è determinata da molti fattori, sociali e lavorativi, che non consentono alle persone di poterla determinare liberamente. Ma il risveglio del corpo corrisponde sempre al risveglio della mente, o vi è un certo lasso di tempo prima che la mente raggiunga il ritmo lavorativo ideale?
La cronopsicologia ha individuato due fondamentali tipologie di individui: i serotini ed i mattutini. Le due tipologie differiscono fra loro fondamentalmente per l’uso che fanno del tempo all’interno della giornata. I serotini tendono a vivere di sera e di notte, andando a letto tardi e svegliandosi più tardi. Al contrario, i mattutini tendono ad andare a letto presto la sera, svegliandosi freschi e riposati al mattino presto.
La letteratura internazionale mostra come i tipi serotini tendano ad utilizzare con frequenza maggiore, rispetto agli altri, sostanza psicoattive, quali caffeina, teina, alcool, nicotina, ecc.
Allo scopo di rivelare se queste tendenze sono presenti anche in Italia, e per valutare se effettivamente l’uso di queste sostanze sia differente a seconda del cronotipo, è stata condotta una ricerca all’università di Bologna da Esposito, Martoni e Natale, su un campione di 205 studenti universitari.
Lo studio è stato svolto mediante la somministrazione di due questionari: il primo indaga i ritmi di vita, e consente di ricavare il ritmo circadiano del soggetto (Morningness-Eveningness Questionnaire), il secondo, con domande a scelta multipla, indaga le abitudini riguardanti l’uso delle sostanze psicoattive.
I risultati confermano lo stesso trend rilevato dalla letteratura internazionale: i tipi serotini tendono ad utilizzare con più frequenza alcune sostanze psicoattive (per la maggior parte nicotina ed alcool). Non risulta, però, un consumo differenziato in funzione dell’effetto delle sostanze (attivazione o relax, ad esempio), tra i tipi serotini e i tipi mattutini. Emerge chiaramente, comunque, il maggiore uso delle sostanze psicoattive da parte dei serotini, che si espongono a comportamenti alimentari che possono essere dannosi per la loro salute e per il loro benessere.

Guido Zamperini. Fonti:
La tipologia circadiana come fattore di rischio nel consumo di sostanze psicoattive (Esposito, Martoni, Natale); Psicologia della salute, 2002, Franco angeli editore.
Vizi e stravizi dei serotini (Chiambretto), Psicologia contemporanea N.186, Giunti editore

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Q - Interferone alfa efficace nel morbo di La Peyronie

Un ciclo di infiltrazioni intralesionali di interferone alfa riduce la curvatura peniena e migliora la soddisfazione sessuale in due terzi dei pazienti affetti da malattia di La Peyronie.
Lawrence Hakim, urologo della Cleveland Clinic, Florida ha trattato 30 pazienti con raggi di curvatura del pene tra 10 e 75 gradi iniettando ogni due settimane cinque milioni di unità di interferone alfa diluiti in 9 millilitri di fisiologica nelle placche. A seconda della risposta al trattamento, il ciclo terapeutico è durato tre o sei mesi, per un totale di 6 o 12 iniezioni. Nel 75 per cento dei pazienti è stata osservata una riduzione della curvatura ed un miglioramento delle prestazioni sessuali. La cura con interferone alfa ha evitato il ricorso alla chirurgia in quasi tutti i pazienti.
Effetti collaterali sono stati osservati nel 20% dei pazienti e sono consistiti in mialgie e artralgie, che si riscontrano frequentemente in corso di terapie con interferone, che sono state controllate efficacemente con la somministrazione di analgesici. E' in corso uno studio più ampio e più prolungato per verificare questi risultati.

Ricerca presentata all'11° Congresso mondiale della Società internazionale per la ricerca sessuale e sull'impotenza; 17 - 21 ottobre 2004, Buenos Aires, Argentina.
fonte: Reuters Health; segnalata da Il Medico di Famiglia 25/10/2004.

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Q1- Le prime critiche alle nuove note AIFA (ex note Cuf) Di Massimo Tombesi

Oltre i confini dell'EBM c'e' l'opinabile, ma oltre i confini dell'opinabile c'e' il ridicolo. La CUF si sarebbe quindi inventata la
categoria del "pregresso infartuato con ipertrigliceridemia", finora sconosciuta nel mondo medico. Non ci credo finche' non lo vedo (queste sembrano le risposte della Pravda nel 1960, tanto sono burocratiche), voglio una conferma "piu'" ufficiale.
La CUF farebbe bene ad ammettere le sue smaronate sull'ultima versione delle note, perche' rischia di delegittimarsi da sola piu' di quanto non riescano a fare i suoi molti critici. E' meglio che non la tirino troppo alla lunga, si fanno meno male: le sviste possono sempre accadere, anche se una svista come quella di non mandare tre mesi prima su MIR il testo integrale, e' davvero eccessiva :-)

Nota 1:
la gastroprotezione con IPP deve essere ammessa nei pazienti di oltre 75 anni in terapia cronica o comunque protratta con FANS, perche' in base ai dati diponibili in letteratura si tratta di soggetti che hanno un rischio analogo a quello di chi ha avuto una pregressa emorragia das FANS. Questo non si applica ai pazienti in solo trattamento antiaggregante con basse dosi di ASA, per i quali la gastroprotezione puo' essee indicata solo in caso di precedente ulcera o emorragia. E' appena il caso di notare che comunque ci si chiede cosa fare in caso di forte intolleranza soggettiva ai FANS in pazienti che ne dipendono criticamente (artriti croniche, dolore oncologico, ecc.), anche alla luce delle recenti "uscite" del Ministro Sirchia sul "dolore".
Nota 13:
1) devono dire chiaramente quello che si evince implicitamente dal testo della nota (e su cui si concorda), e cioe' che nel diabete non si applicano le carte dell'ISS, almeno al di sopra dei 50 anni. Si fa inoltre notare che il rischio valutato con le carte differisce sensibilmente da quello valutato con il software dell'ISS.   
2) devono dire che al di sopra dei 69 anni in mancanza di dati applicabili alla realta' italiana vale il riferimento alle precedenti carte del rischio europee
3) gli omega 3 sono prescrivibili nel post-infarto indipendentemente dalla trigliceridemia, che non ha alcun interesse nella stratificazione del rischio cardiovascolare. Nessuno studio ha mai affrontato il caso di soggetti post-infartuati con ipertrigliceridemia. Nella bibliografia si suggerisce di includere il GISSI-prevenzione.
Nota 48
deve prevedere il caso previsto nella nota 1 per quanto attiene l'eradicazione dell'HP: uso di IPP assieme a terapia eradicante in soggetti HP positivi in cui sia indicata la terapia antiaggregante o sia necessario l'uso protratto di FANS, come possibile alternativa alla gastroprotezione. Questo fatto e' supportato in letteratura solo nei soggetti con pregressa emorragia, pero' l'AIFA lo suggerisce in tutti i casi e quindi deve permettere di farlo.
Nota 51
Ci si chiede se nel caso del cancro della prostata non avanzato i farmaci analoghi del'LHRH siano indicati, e qual e' la documentazione che ne suggerisca l'efficacia rispetto a qualunque end-point (progressione della malattia alla fase metastatica, prolungamento della vita, ecc.).
Nota 66
deve essere specificato che nel dolore oncologico i FANS possono essere usati anche in assenza di indicazione specifica nella scheda tecnica, in quanto nessuna scheda tecnica di FANS risulta riportare questa indicazione.
Nota 78
il piano terapeutico deve essere abolito per i colliri antiglaucomatosi, in quanto palesemente del tutto inutile al fine di ottenere una prescrizione piu' razionale e responsabile da parte degli oculisti, e in quanto l'ottenimento risulta impraticabile dato l'enorme uso di questi farmaci che interessa oramai almeno il 3% della popolazione (in gran parte anche politrattata), senza che da questo si possa dedurre alcuna responsabilita' della MG.

La prescrizione dei farmaci con registro USL o piano terapeutico deve escludere esplicitamente ogni responsabilita' del MMG riguardo all'eventuale inosservanza delle indicazioni delle note.

Salvo errori & omissioni, queste sono le osservazioni scaturite da MIR. Anche se l'opzione preferita dai MMG e' l'abolizione delle note che li riguardano, si raccomanda in futuro di chiedere pareri qualificati prima di licenziare nuove (e non auspicate) versioni. Non e' detto infatti che questo equivalga ai pareri delle "organizzazioni piu' rappresentative". Si segnala infine che "il criterio ispiratore di creare un clima di condivisione del 'sistema note'" non ha avuto successo: le note non sono condivise dagli utilizzatori e non sono conosciute da larga parte dei medici specialisti ed ospedalieri, cosa che a 10 anni dalla prima emanazione richiederebbe una accurata analisi critica, sia dell'efficacia, sia degli effetti perversi dello strumento ampiamente lamentati dai MMG.

Massimo Tombesi, CSERMEG
dalla mailing-list MIR (Medicina In Rete)
[ Altre voci si sono aggiunte a quelle di Massimo Tombesi nelle more della pubblicazione, e sembra che l' AIFA abbia manifestato la volonta' di venire incontro alle critiche e ai suggerimenti ben motivati. I vari aggiornamenti saranno pubblicati man mano sul nostro sito]

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Q2 - "Vedere il problema": fisiologia dei Punti di Vista
La nostra vita si basa su delle verità, spesso banali, constatate giornalmente e verificate mediante i nostri sensi. La forma di quello che ci circonda, il ricordo di quello che ci viene detto, le mappe mentali che ci consentono di spostarci per la città, vengono costruite empiricamente, e vengono giudicate coerenti con la realtà. Come potremmo vivere, altrimenti?
In realtà capita, a volte, che qualcuno ci porti verità in contrasto con le nostre. Informazioni, dati, che sono in contrasto con quello che vediamo e con quello che i nostri ragionamenti ci portano a pensare. Possiamo credergli, o è vittima di un vizio di ragionamento? Di solito ripercorriamo tutta la nostra catena di pensieri, dal ricordo originario alla conclusione, e raramente troviamo un errore.
Sicuramente deve essere l’altro ad essersi sbagliato.

Questa cosa non riguarda solo la gente comune e le attività sociali di base. Capita in tutti i campi, dalla diagnosi medica alla ricerca scientifica, fino alla formulazione di leggi fisiche.
Di solito durante le discussioni che scaturiscono da questi contrasti "ideologici" salta fuori la frase "prova a guardare le cose dal mio punto di vista", con tutte le varianti del caso. Il concetto alla base di questo invito è che spesso, cambiando il punto di osservazione del problema, possono cambiare tutti gli assunti che da questo derivano. Se questo aspetto della vita non interessa i lavoratori "sicuri" (commercianti, bancari) sicuramente interessa (o dovrebbe interessare) tutti quei lavori che fanno della ricerca il fine ultimo, dalla ricerca scientifica alla ricerca della causa dei tali sintomi medici.

Marie-Christophe Parmentier e Jean-Francois Hamon (università di Reunion, Polinesia francese), sono partiti dal presupposto che l’appartenenza a due culture differenti possa influire fisicamente sulla percezione e sull’elaborazione degli stimoli, e quindi sulla soluzione finale al problema.
Nello specifico la ricerca si basa sulla differenza percettiva che 230 ragazzi di 10 anni hanno di una figura geometrica astratta e complessa (figura complessa di Ray). La richiesta che è stata fatta loro è stata duplice: inizialmente dovevano copiare la figura, in seguito riprodurla a memoria.
Il campione è stato suddiviso in tre sottogruppi: europei di Parigi, abitanti di Reunion cittadini e abitanti di Reunion campagnoli. Lo svolgimento del compito ha evidenziato differenze molto marcate e significative nel modo in cui le differenti culture "vedevano" il problema.
Nel primo esercizio la differenza fondamentale sussisteva fra i "cittadini", che vedevano la figura in maniera piu’ globale in contrasto con gli abitanti delle campagne ce la vedevano piu’ suddivisa nelle singole parti, e quindi tendevano a riprodurre la figura non globalmente ma ad elementi singoli.
Il fenomeno veniva ulteriormente accentuato nel secondo compito, dove sembrava quasi che gli abitanti di campagna vedessero la figura diversamente rispetto a quelli di citta’.
Sembra proprio che la realtà è negli occhi di chi guarda…

Guido Zamperini
Fonte: Psicologia contemporanea 179

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Q3 Come l' aggancio emozionale facilita la rievocazione del ricordo

Come è noto, mediante la tecnica della risonanza magnetica funzionale (RMf) è possibile visualizzare quali parti del cervello lavorano durante un determinato compito, che può essere sia puramente mentale (una rievocazione, un calcolo matematico, un qualsiasi compito che necessiti di sola intelligenza), sia pratico (attuare movimenti, spostare oggetti) sia misti (precorrere mentalmente il movimento e poi compierlo, prefigurarsi una azione, ecc.).
Utilizzando la tecnica della RMf è stato studiato il cervello durante un compito di richiamo, più specificatamente durante un utilizzo della memoria autobiografica.
Per memoria autobiografica (MA) si intende, solitamente, quell’insieme complesso di informazioni, esperienza e memorie che concernono la nostra vita ed il nostro vissuto, e che ci consente di "viaggiare" nel nostro passato, rivivendolo anche a livello emotivo.
Gli studi hanno mostrato che le aree maggiormente attive durante una fase di richiamo della MA sono le aree prefrontali ed orbitofrontali: sono queste, infatti, quelle deputate a richiamare alla mente i ricordi del nostro passato.
Oltre alla RMf, altre informazioni su questo sistema di memoria possono essere ottenute da pazienti che hanno subito danni cerebrali, sia localizzati (ictus ischemici o emorragici), che diffusi (traumi).
L’analisi della capacità del richiamo della MA in questi pazienti ha confermato come molto importanti siano le suddette aree per il corretto richiamo delle informazioni, della consapevolezza, del riconoscimento del Se' e, soprattutto, dell’elaborazione emotiva del vissuto. Danni a queste aree del cervello portano, oltre ai disturbi sociali, una mancata associazione fra il ricordo e la relativa emozione.

Studi portati avanti da un gruppo di ricercatori tedeschi (Markowitsh e coll. "Cortex" 2003, 39), con l’utilizzo della RMf hanno mostrato un legame molto stretto fra l’emozione e il ricordo.
Da questi studi emerge come il ricordo sia strettamente legato all’emozione, e come questi due aspetti concorrano strettamente al richiamo dell’informazione.
Questo risultato apre un campo di indagine abbastanza nuovo, anche se non nuovissimo (alcuni indirizzi di pensiero, come ad esempio quelli legati alla Programmazione Neurolinguistica hanno sostenuto da tempo l' esistenza di legami simili), in quanto sara' necessario (o quanto meno utile) rivedere le tecniche pratiche di apprendimento, dovendosi tener conto delle interazioni fra quello che si vuole ricordare e l’emotività che quell’informazione suscita.
Inoltre, gli studi portati avanti dal gruppo di Markowitsh mostrano come il cervello "archivi" separatamente i ricordi connotati positivamente (parte mediale della corteccia orbitofrontale) da quelli negativamente connotati (attivazione della porzione laterale). Abbiamo quindi una zona "buona" ed una "cattiva" del cervello?

Guido Zamperini
Fonti: Psicologia Contemporanea N.-182

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Q4 Il calo del triptofano innesca mutamenti dell’attività cerebrale.

Uno studio sul cervello condotto dai ricercatori del National Institute of Mental Health (NIMH) ha dimostrato che un circuito cerebrale che regola le emozioni risulta iperattivo nelle persone suscettibili alla depressione, anche quando non sono depresse. Gli scienziati hanno scoperto l’anomalia nei cervelli dei pazienti la cui depressione presentava una ricaduta quando un messaggero chimico cerebrale veniva ridotto sperimentalmente. Anche se in remissione, la maggior parte dei soggetti con una storia di disturbi dell’umore sperimentava una ricorrenza temporanea dei sintomi quando dai loro cervelli veniva asportato sperimentalmente triptofano, il precursore chimico della serotonina.
Simili cambiamenti di umore e di attività cerebrale non vengono innescati né da una somministrazione di placebo nei pazienti, né da un calo di triptofano in volontari sani. Le scansioni PET del cervello hanno rivelato che un circuito di elaborazione delle emozioni risultava iperattivo soltanto nei pazienti in remissione, che sperimentassero o meno i sintomi della depressione, e non nei soggetti di controllo. Poiché l’attività anormale non riflette l’umore, la scoperta suggerisce che il calo di triptofano mette alla luce una caratteristica innata associata con la depressione.
Lo studio, di Alexander Neumeister, Dennis Charney, Wayne Drevets e colleghi, è stato pubblicato sul numero di agosto 2004 della rivista "Archives of General Psychiatry
www.lescienze.it

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R - News prescrittive di Marco Venuti (dalla Gazzetta Ufficiale)
Fostimon - Estese le indicazioni terapeutiche. Le nuove indicazioni sono:
sterilità femminile: induzione dell'ovulazione, in associazione con gonadrotopina canonica, in pazienti affette da sindrome dell'ovaio policistico; amenorrea o stati anovulatori da insufficienza della fase follicolare; altri stati di infertilità associata ad un aumentato rapporto LH/FSH. Fostimon è indicato per la stimolazione dello sviluppo follicolare multiplo in donne sottoposte ad induzione dell'ovulazione nei programmi di fertilizzazione in vitro (IVF) ed altre tecniche di riproduziore assistita (FIVET-GIFT-ZIFT)M
sterilità maschile: induzione dello spermatogenesi in uomini affetti da ipogonadismo ipogonadotropo, in associazione alla gonadotropina corionica umana (hCG).

Medipo, Sinvacor, Sivastin, Liponorm, Zocor - Modificate le indicazioni terapeutiche. Le nuove indicazioni sono:
Ipercolesterolemia: trattamento della ipercolesterolemia primaria o della dislipidemia mista, come integratore della dieta, quando la risposta alla dieta e ad altri trattamenti non farmacologici (es: esercizio fisico, riduzione del peso corporeo) è inadeguata; trattamento della ipercolesterolemia familiare omozigote come integratore della dieta e di altri trattamenti ipolipemizzanti (es. LSD aferesi) o se tali trattamenti non sono appropriati.
Prevenzione cardiovascolare: riduzione della mortalità e della morbilità cardiovascolare in pazienti con malattia aterosclerotica cardiovascolare manifesta o diabete mellito, con livelli di colesterolo normali o aumentati, come coadiuvante per la correzione di altri fattori di rischio e di altre terapie cardioprotettive.

Aplactin, Pravaselect, Selectin, Sanaprav, Prasterol - Modificate le indicazioni terapeutiche. Le nuove indicazioni sono:
Ipercolesterolemia: trattamento della ipercolesterolemia primaria o della dislipidemia mista, in aggiunta alla dieta, quando la risposta alla dieta e ad altri trattamenti farmacologici (es: esercizio fisico, riduzione del peso corporeo) sia risultata inadeguata.
Prevenzione primaria: riduzione della mortalità e della morbilità cardiovascolare in pazienti con ipercolesterolemia da moderata a grave e ad alto rischio di primo evento cardiovascolare, in aggiunta alla dieta.
Prevenzione secondaria: riduzione della mortalità e della morbilità cardiovascolare in pazienti con storia di infarto del miocardio o angina pectoris instabile e con livelli normali o elevati di colesterolo, in aggiunta alla correzione di altri fattori di rischio.
Post-trapianto: riduzione dell'iperlipidemia post-trapianto in pazienti sottoposti a terapia immunosoppresiva a seguito di trapianto d'organo solido.

Fluxum - Modificate le controindicazioni. Le nuove controindicazioni sono:
L'anestesia loco-regionale per procedure di chirurgia elettiva è controindicata in quei pazienti che ricevono eparina per motivazioni diverse dalla profilassi; generalmente controindicato in gravidanza e nell'allattamento; Anamnesi positiva per trombocitopenia con FLUXUM; manifestazioni o tendenze emorragiche legate a disturbi dell'emostasi, ad eccezione delle coagulopatie da consumo non legate all'eparina; lesioni organiche a rischio di sanguinamento (ulcera peptica, retinopatie, sindrome emorragica); endocardite infettiva acuta (ad eccezione di quelle relative a protesi meccaniche); accidenti cerebrovascolari emorragici; allergia al farmaco; nefropatie e pancreopatie gravi, ipertensione arteriosa grave, traumi cranioenceflici gravi nel periodo post-operatorio; pericolo di attività terapeutica delle antivitamine K; controindicazioni relative: associazione con ticlopidina, con salicilati o FANS, con antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.)

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CASI CLINICI

S - I CASI DEL DOTT. CRETINETTI: Nando il fiumarolo (di Giuseppe Ressa)
[Continua la presentazione di casi clinici basati su esperienze concrete, che possono offrire lo spunto a utili considerazioni metodologiche e pratiche. I personaggi di Cretinetti e Falchetto sono stati ideati dal Dott. Giuseppe Ressa, che ha curato anche la scelta e l'esposizione dei casi.
Il dottor Cretinetti è un medico che fa anamnesi approssimative, esami obiettivi volanti, prescrive montagne di analisi ed esami strumentali; il dottor Falchetto è il suo opposto: anamnesi ed esami obiettivi maniacali, connessioni diagnostiche mirabolanti, scorciatoie fulminanti, esami diagnostici centellinati; a volte cerca diagnosi rarissime mancandone altre più probabili e giuste.
Capita che Cretinetti e Falchetto coesistano schizoidamente nella stessa persona.]

A Roma, sul Tevere, si vedono remare i canoisti, ai margini del fiume sono ancorate le zattere dei "fiumaroli" di una volta, ora in parte trasformate in ristoranti galleggianti.
Di uno di questi e'  titolare Nando; con una giovinezza i cui trascorsi erano stati opportunamente oscurati dai parenti (si vociferava che facesse il protettore di alcune prostitute trasteverine e altro).
Dopo un breve soggiorno a Regina Coeli (carcere romano) si era riciclato in queste nuove mansioni di ristoratore e non disdegnava di fare anche dello sport sulle bionde acque per temprare il suo fisico scultoreo.
Un giorno d’estate Nando chiamo' a domicilio il giovanissimo sostituto di Cretinetti, il quale era in ferie da lurido massimalista, il medico accorse prontamente.
Trovo' Nando in preda a sintomi pseduoinfluenzali, riferiva: febbre a 40 gradi, epistassi, tosse produttiva con espettorato strato di sangue, dolore toracico e una violenta cefalea frontale; all’esame obiettivo il medico rileva: faringe infiammata, subittero con intensa soffusione congiuntivale, crepitii diffusi su tutto l’ambito polmonare, epatomegalia.
Il vice Cretinetti, allarmato, diagnostica una polmonite con "sofferenza epatica" e propone senz’altro il ricovero ma Nando rifiuta adducendo il fatto che "A Ferragosto in ospedale non c’e' nessuno e mi faranno morire come e' successo alla mia povera mamma"; a quel punto si inizia una terapia antibiotica prescrivendo nel contempo delle analisi che rilevano: transaminasi due volte il normale, bilirubina a 3, prevalentemente coniugata, CK aumentata, piastrinopenia, azotemia 80 e lieve proteinuria, i risultati dei markers dei virus epatitici tardarono qualche giorno ma erano negativi.
Il vice Cretinetti si reco' di nuovo al domicilio di Nando per ricontrollarlo ma, mentre stava scendendo le scale che lo conducevano alla zattera, gli venne incontro la moglie, disperata, con le mani nei capelli, che urlava "Nando e' morto!!".

Il sostituto ebbe un malessere che a stento controllo', chiese particolari sull’accaduto: Nando aveva avuto un violentissimo colpo di tosse, aveva sputato moltissimo sangue, aveva perso conoscenza ed era rapidamente spirato.
Nel frattempo erano accorse numerose persone, attirate dalle grida disperate della donna, e anche un’autoambulanza del vicino ospedale.
Nando fu portato via, in barella, seguito da un inebetito vice Cretinetti che non sapeva dove sbattere la testa, ci fu un’autopsia e un funerale al quale il giovanissimo medico partecipo'; per fortuna ci fu molta comprensione da parte della famiglia.
Non cosi' per la stampa che vesso' il povero medico; Cretinetti torno' a breve dalle ferie e, saputo l’accaduto con la relativa diagnosi, cerco' inutilmente di consolare il collega che anche ora, a distanza di anni, gli ricorda quella drammatica sostituzione estiva alla quale segui' un lungo periodo in cui non riusci' piu' ad esercitare la professione.

Il paziente era affetto da leptospirosi.

Cretinetti tirò, cinicamente, un grosso respiro di sollievo perché non era per niente sicuro che trovandosi lui nella situazione descritta sarebbe riuscito a fare la corretta diagnosi. Forse l’ANAMNESI, ricca di dati in favore (fiumarolo e canoista) poteva essere il piede di porco per scardinare il dilemma.
In seguito il giovane sostituto rifiutò, con risolutezza, altre proposte di sostituzione nello studio di Cretinetti.

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APPROFONDIMENTI

AA1 I farmaci generici: una diffidenza non del tutto ingiustificata

E’ noto come l’avvento dei farmaci generici, molto diffusi in altre nazioni, abbia riscontrato in Italia un atteggiamento di perplessita’ se non addirittura di ostilita’ da parte della classe medica.
Questa reazione e’ in parte legata a motivi "psicologici" e in parte a un atteggiamento di sospetto e di sfiducia del medico verso un farmaco di cui non si sente completamente "padrone".
E’ importante analizzare quindi alcune problematiche che investono i farmaci generici onde comprendere meglio i motivi di un atteggiamento tendenzialmente negativo.
Il farmaco generico e’, palesemente, assai gradito alle autorita’ governative e agli Enti erogatori di prescrizioni in quanto tendenzialmente portatore di benefici economici.
Ma cos’e’ un farmaco generico? E’ veramente "uguale" al corrispondente farmaco di marca?

In realta’, in base alle normative vigenti in Italia, i farmaci "generici" sono per definizione "essenzialmente simili" al prodotto di marca originale ma non per questo perfettamente uguali.

[ Per chiarire la terminologia:
- Biodisponibilta': parametro biochimico che misura le curve di concentrazione ematica del principio attivo utilizzando il parametro "area sotto la curva" e altri parametri accessori ("concentrazione di picco massimo" e "tempo di picco massimo").
- Bioequivalenza: equivalenza media di due farmaci aventi profilo di bionisponibilita' accettabilmente simile (compreso circa nel 20% in piu' o meno dell' Area sotto la curva).
- Equivalenza terapeutica: parametro presunto in base ad una bioequivalenza media compresa nei parametri di accettabilita'.
Per una valutazione dettagliata dei parametri statistici, consultare i links in fondo alla pagina].

La somiglianza prescritta per il farmaco generico si verifica allorche’, rispetto al farmaco di riferimento, il "generico" abbia una stessa composizione quali-quantitativa in principio attivo e la stessa forma farmaceutica; ("equivalenza farmaceutica") e presenti "bioequivalenza" rispetto al farmaco di riferimento. Se un generico presenta una equivalenza farmaceutica e una bioequivalenza rispetto al farmaco di riferimento, puo' essere considerato "essenzialmente simile" a questo.
Da tale similitudine viene presunta una equivalenza terapeutica che puo' verificarsi sia utilizzando degli "equivalenti farmaceutici" in senso stretto (cioe’ farmaci chimicamente e farmacologicamente perfettamente uguali all’originale,
- "alternative farmaceutiche" che differiscono dall’originale per la forma chimica della frazione terapeutica (ad esempio una diversa salificazione o esterificazione del principio attivo) o per la tecnologia farmaceutica impiegata (ad esempio capsule invece di compresse, granulato anziche’ gel e cosi’ via).

La maggior parte dei prodotti generici registrati in Italia appartiene al primo di questi due gruppi.

Bioequivalenza, biodisponibilita', equivalenza terapeutica

Il concetto di bioequivalenza, non del tutto chiaro, e’ uno di motivi di perplessita’ per i medici prescrittori.
Le leggi di riferimento sono il D.leg. 323/1996 convertito in Legge 425/1996.
La "bioequivalenza" tra farmaco di riferimento e generico viene valutata essenzialmente mediante lo studio della "biodisponibilita' ", che ne costituisce preliminare indispensabile. La bioequivalenza, a sua volta, costituirebbe presupposto per presumere una probabile "equivalenza terapeutica".
La valutazione di biodisponibilita’ di un prodotto generico rispetto all’originale viene valutata in base ad una serie di parametri chimici e fisiologici, con procedure semplificate rispetto alla registrazione del farmaco originale. In particolare la biodisponibilita’ di un prodotto farmaceutico viene valutata dal profilo medio delle curve concentrazione-tempo del principio attivo misurato su un campione di soggetti, generalmente volontari sani, e utilizzando il parametro "area sotto la curva" come indicatore della quantita’ di farmaco reso biodisponibile; vengono considerati anche altri parametri: la "concentrazione di picco massimo" e il "tempo di picco massimo" come indicatore di velocita’ in cui il principio attivo e’ reso disponibile.
Viene presunto che due prodotti con profili di biodisponibilita’ sufficientemente simili (e quindi "bioequivalenti") siano anche "equivalenti dal punto di vista terapeutico".
In altre parole l' "equivalenza terapeutica" viene presunta in base ad una bioequivalenza tra i due farmaci confrontati. (Per definizione infatti il farmaco generico deve essere "bioequivalente" rispetto al prodotto di riferimento).

Occorre sottolineare che gli studi tendenti a misurare la bioequivalenza dei prodotti non utilizzano parametri clinici di efficacia ma si limitano a confrontare la biodisponibilita’ sistemica di due prodotti, che puo' essere simile ma non uguale, in quanto ci si basa sul concetto che due prodotti farmaceutici, pur avendo un profilo di disponibilita’ anche diverso (purche' compreso in un certo ambito), possano essere equivalenti anche sul piano terapeutico. Le norme internazionali, infatti, stabiliscono un range di variabilita’ convenzionale come "intervallo accettabile" di bioequivalenza.

Questo intervallo di variabilita' accettabile, indipendentemente dalla classe farmacologia del principio attivo e dal parametro farmacocinetico considerato, e’ fissato a livello internazionale nel range tra 080-1,25 quando si considera la media dei rapporti individuali tra area sotto la curva del farmaco testato e area sotto la curva della formulazione standard o, dopo alcune correzioni statistiche, entro la percentuale del 20% in piu' o in meno.
L' entita' di questa variazione accettabile e’ stata stabilita in base al concetto che la variabilita’ individuale della risposta terapeutica e’ generalmente molto ampia, anche piu’ ampia del range di variabilita’ fissato per il test di bioequivalenza.
Diversi Autori, tuttavia, hanno sottolineato il fatto che, almeno per alcuni farmaci aventi una "finestra terapeutica" molto stretta, l’attuale convenzionale intervallo di bioequivalenza potrebbe essere troppo ampio e percio’ inadeguato a garantire con sufficiente affidabilita’ che due prodotti bioequivalenti siano anche terapeuticamente equivalenti.

E' possibile quindi affermare che la metodologia utilizzata attualmente negli studi di bioequivalenza, consente di stimare la "bioequivalenza media" e la "bioequivalenza di popolazione" ma non consente di valutare la "bioequivalenza individuale".

In base a questa considerazione il medico e il paziente che utilizzino un farmaco "bioequivalente" possono aspettarsi un risultato terapeutico "mediamente equivalente" nella popolazione complessiva degli utilizzatori, ma non e' possibile fornire informazioni circa la probabilita’ che la risposta del singolo paziente alle due formulazioni diverse (farmaco di riferimento e generico bioequivalente) sia la stessa.
Il problema e’ particolarmente sentito, come gia' detto, per i farmaci ad uso cronico dotati di scarsa maneggevolezza e di basso indice terapeutico.
Pur rimanendo quindi valido genericamente il concetto di sostituibilita’ tra il farmaco di riferimento e un farmaco generico bioequivalente e’ evidente come possa essere importante per il medico conoscere, per i singoli prodotti alternativi, il range di scostamento dei parametri di confronto onde poter eventualmente scegliere il prodotto che piu’ si avvicina a quello di riferimento.

Inoltre questa variabilita’ "interna" tra farmaci generici non permette un diretto confronto tra di loro in quanto essi vengono confrontati esclusivamente con la specialita' di riferimento e non e’ possibile estrapolare automaticamente una equivalenza tra di loro. Il concetto di bioequivalenza non gode della proprieta' transitiva: non e' possibile affermare, senza una verifica diretta, che due prodotti, ciascuno bioequivalente con lo stesso standard di riferimento, siano bioequivalenti tra di loro.
Questo criterio ovviamente e’ uno dei maggiori ostacoli alla libera sostituibilita’ del prodotto da parte dei farmacisti con prodotti equivalenti.

Il problema degli eccipienti

La normativa vigente, basata sul DL 323 del 20/06/96 stabilisce che i generici debbano avere "la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche.". Non vengono dettate norme, invece, per quanto riguarda la composizione degli eccipienti.
Il problema non e’ di proprio conto, soprattutto per quanto riguarda alcune forme farmaceutiche quali i granulati, le soluzioni orali, ma, in una certa misura anche le compresse.
Questo perche’ la pratica medica e’ diventata sempre piu’ sensibile, in questi anni, ai problemi di allergia o di generica intolleranza ai diversi tipi di sostanza.
L’aumentata diffusione di patologie che impongono restrizioni alimentari o evitamento di sostanze particolari ha fatto si' che si presti sempre piu' attenzione a questo problema.
In base alla normativa attuale e’ quindi facilmente ipotizzabile che due farmaci, pur essendo tra loro bioequivalenti dal punto di vista del principio attivo, possano presentare invece differenze e problemi notevoli per quanto riguarda la composizione dei loro eccipienti.
Non e’ impossibile immaginare, ad esempio, che un medico prescriva un farmaco granulato ad un diabetico in quanto a conoscenza che la specialita' di riferimento non contiene zucchero o altre sostanze nocive a quel particolare paziente; una sostituzione del farmaco fatto "alla cieca" dal farmacista o da un altro operatore potrebbe invece, inconsapevolmente, sostituire quel prodotto con uno bioequivalente ma dolcificato con zucchero, con conseguente inspiegabile alterazione dell' equilibri glicemico.
Sono parecchie altre le sostanze che impongono particolare attenzione: i pazienti affetti da morbo celiaco, ad esempio, devono evitare l’amido di grano (spesso utilizzato come eccipiente di compresse e capsule).
Anche altri dolcificanti (oltre allo zucchero) presentano controindicazioni per alcune categorie di pazienti: e' noto ad esempio che la saccarina puo' provocare allergia crociata con i sulfamidici, e che l' aspartame e' controindicato nei soggetti affetti da fenilchetunuria.
Una sostituzione "selvaggia" del prodotto provocherebbe quindi facilmente una serie di disturbi iatrogeni legati a somministrazione involontaria dei principi proibiti.
Si andrebbe incontro ad una serie di problemi, anche di responsabilita’ professionale, di incerta soluzione: chi potrebbe essere responsabile, ad esempio, dello scompenso di un diabetico o di una reazione allergica per un paziente a cui e’ stato prescritto correttamente un farmaco privo della sostanza dannosa, ma sostituito, in un iter successivo, con un farmaco "bioequivalente"?
Il farmacista, del resto, non puo’ ne’ deve effettuare una diagnosi ne’ entrare nel merito di una scelta terapeutica, l’unico a rimetterci sarebbe quindi, in definitiva, il paziente.
Sarebbe percio’ auspicabile una serie di modifiche alla normativa attualmente vigente:

-Restringere il range di variabilita’ ammesso per i criteri di bioequivalenza o, in alternativa, obbligare le aziende produttrici di farmaci generici a pubblicare i dati di bioequivalenza del loro prodotto rispetto allo standard di riferimento. Questo sistema consentirebbe al medico di scegliere piu’ oculatamente e obbligherebbe le aziende di migliorare al massimo la qualita’ del loro prodotto.
- Regolamentare anche la tipologia degli eccipienti: si potrebbe ad esempio obbligare che le aziende che vendono generici con eccipienti diversi dall’originale segnalino esplicitamente e in modo ben leggibile anche dal profano, queste loro differenze in modo che il paziente possa tenerne conto per le sue particolari situazioni.
In mancanza di accorgimenti del genere e’ comprensibile l’atteggiamento di diffidenza che molti medici hanno ancora verso i farmaci generici e verso la possibilita’ di sostituzione indifferenziata dei farmaci stessi tra di loro.

Daniele Zamperini

-EMEA-26 Julie 2001-Note for guidance on the investigation of bioavailability and bioequivalence
-http:// biocfarm.unibo.it/deponti /didattica/bioequivalenza.PDF
-www.salvelocs.it/farmacigenerici.HTM
-http://www.emea.eu.int/pdfs/human/ewp/140198en.pdf
-"Il Sole 24 ORE Sanita’ "- Dicembre 2003: in particolare Mario Eandi, Ordinario di Farmacologia Clinica, Torino

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IL DIBATTITO

AA3 La guerra del latte artificiale

Alle recenti polemiche sul costo eccessivo del latte artificiale in Italia è seguita l'iniziativa del ministro della Salute che avrebbe ottenuto una riduzione del prezzo al pubblico del latte artificiale. La regione Toscana risponde con una delibera che impone alle ASl di approvigionarsi di latte in polvere a spese della collettività rifiutando le forniture gratuite da parte delle aziende produttrici e detta tutta una serie di restrizioni sulla campionatura del latte ai medici e impedirebbe persino l'acquisizione di crediti formativi ECM sponsorizzate dalle aziende produttrici.
L'obiettivo appare importante e nobile:favorire l'allattamento al seno. In nome di tale asserito obiettivo la regione Toscana ha recentemente varato una delibera che disciplina la materia con aspetti che non mancheranno di far discutere. L'atto farebbe seguito ad un promessa fatta undici mesi fa in occasione di un'intesa stipulata con l'Unicef, raccogliendo esplicitamente le raccomandazioni dell'Oms.
Latte artificiale gratis per tutti i neonati fino ai sei mesi, a seguito di certificazione medica, quando "è sconsigliabile l'allattamento al seno". No alle forniture gratuite delle aziende produttrici agli ospedali di sostituti e derivati del latte materno e di alimenti e bevande per i biberon. Obbligo di acquisto diretto al dettaglio da parte delle aziende sanitarie pubbliche. Anche dopo lo stimolo che nel 2000 cercò di imporre l'allora ministro della Sanità, Umberto Veronesi, in favore dell'allattamento naturale.
L'erogazione diretta e gratuita di latte artificiale ai neonati fino a sei mesi di vita, da parte di tutte le aziende sanitarie toscane, avrà per un anno carattere sperimentale. A delimitare i casi in cui sussista la necessità di una "totale o parziale alimentazione" con derivati del latte, sarà una speciale Commissione "di alto profilo scientifico". Gli operatori sanitari non riceverebbero crediti formativi se partecipassero a convegni con il contributo delle industrie produttrici di latte. I pediatri ed i medici di medicina generale, non potrebbero più essere destinatari di campioni.
fonte: Il Sole 24 ore 03/11/2004

Commento di Luca Puccetti
La recente delibera non mancherà di fare discutere per una serie di ragioni.
Alcune sono intuitive. Sarà interessante comprendere in quale modo una Regione possa deliberare in merito alla campionatura di saggi presso studi privati o addirittura circa i crediti ECM. Sarà parimenti interessante comprendere chi dovrà certificare la necessità di allattare artificialmente. Il ginecologo della struttura ospedaliera (pubblica?) il pediatra della neonatologia, il pediatra di base il pediatra di fiducia il medico di medicina generale della madre? La reale portata del provvedimento deve essere valutata alla luce della definizione dei casi in cui ci sarà la concessione diretta del latte. Se il provvedimento sarà molto definito e restrittivo appare certamente limitata anche la sua portata. Viceversa se la definzione fosse elastica potrebbe essere molto rilevante, forse troppo per il bilancio regionale. Chi potrà poi definire il profilo psicologico della madre? E' indubbio che in alcuni casi siano proprio motivazioni psicologiche o psicopatologiche a giustificare il ricorso all'allattamento artificiale. Ebbene chi dovrà certificare questa condizione? Forse un medico pubblico che non sa nulla della paziente? Oppure il medico di fiducia qualunque esso sia con le ovvie implicazioni civili e penali connesse? La madre avrà diritto a ottenere una prestazione senza sottoporsi ad un giudizio di un medico che non ha scelto e che non la ha in cura? Potrà d'altro canto la madre esercitare l'opzione di revoca qualora fosse il pediatra di base o il MMg a dover certificare la sussistenza della condizione idonea ad ottenere il latte artificiale gratuitamente?
Andiamo ad analizzare e commentare altre rilevanti questioni.
E' giusto che un ente pubblico decida di far pagare a tutti i cittadini un onere che prima non sussisteva essendo le forniture di latte artificiale gratuite da parte delle aziende produttrici ai reparti di neonatologia?
Se lo chiederebbe, secondo il Tirreno del 06/10/2004, il Professor Giorgio Rondini, Presidente della Società Italiana di Neonatologia. Secondo il Messaggero del 25/10/2004 l'assessore Rossi, membro anche dell'AIFA, avrebbe definito questa scelta "Un piccolo sacrificio finanziario, ma con un grande valore per la promozione dell'allattamento al seno, che è l'obiettivo di fondo di tutta la manovra".
Sempre secondo il Messaggero in Italia il 25 per cento dei bambini verrebbe allattato fino a uno-due mesi, il 15 per cento fino a tre mesi, il 10 per cento lino a 4, il 16 lino a 5-6 mesi e appena il 6 per cento oltre i 7 mesi. Il 23 per cento dei neonati italiani non verrebbe mai allattato al seno.

Che cosa dicono invece i dati provenienti da fonte OMS?

paese costo latte
€/Kg
allattati solo
al seno a
4 mesi(%)
Italia 37,7 37
Spagna 19,6 44
Francia 18,9 15
UK 18,6 28
Germania 18,2 33


Dall'esame di questi dati emerge che è forte l'esigenza di una verifica seria delle fonti per le informazioni dirette al pubblico da parte della stampa generalista onde evitare di fornire notizie palesemente inesatte che possano fuorviare il convincimento della pubblica opinione. Appare anche chiaro che la rilevante differenza di prezzo non sembrerebbe in correlazione con la percentuale di allattamento al seno, essendo evidentemente implicate molte altre variabili.
La pratica, da alcuni definita scandalosa, del regalo di latte in polvere alle neo mamme al momento delle dismissioni, come forma di pubblicità, neanche troppo occulta, è ampiamente diffusa anche se sarebbe vietata da una circolare del ministero della Sanità datata 24 ottobre 2000. Ma a parte le valutazioni di legalità e di opportunità, queste misure potrebbero essere efficaci? Ovviamente non resta che attendere i risultati della sperimentazione, tuttavia è interessante notare che lo studio Puer potrebbe fornire alcune risposte.
Il "Progetto Puer" è un'indagine a livello nazionale sull'allattamento al seno in cui sono state coinvolte 1601 madri, che hanno dato alla luce un bambino nel novembre 1995. L'indagine è stata eseguita mediante un'intervista telefonica nei mesi di marzo, giugno e settembre 1996 e nel mese di gennaio 1997, al compimento del 3¡, 6¡, 9¡ e 12¡ mese di vita del bambino. L'85% delle madri italiane allatta al seno, con differenze significative tra le diverse aree geografiche, con progressivo decremento al 51% al termine del primo trimestre di vita e al 31% a sei mesi; all'anno di vita del bambino allattano ancora il 10% di mamme. Le percentuali più elevate si riscontrano nel Nord-Est e nel Sud rispetto al Nord-Ovest e alle Isole. La differenza tra le aree geografiche è statisticamente significativa.

CHI FORNISCE LE INFORMAZIONI ALLE MAMME?

Gli operatori sanitari che informano le mamme sull'allattamento al seno sono soprattutto le ostetriche, i pediatri ed i ginecologi, rispettivamente nel 23%, 19% e 18% casi, ma in ben il 43% dei casi nessuno ha mai affrontato l'argomento. Considerando il ruolo dei mass-media, emerge che nel 66% dei casi le informazioni sull'allattamento al seno provengono da riviste dedicate alla salute, in meno del 2% dei casi da Radio e TV.
Al momento della dimissione al 51% delle madri sono state fornite indicazioni sull'allattamento al seno. Nell'80% dei casi è stata prescritta una formula adattata, nonostante nel 75% circa dei casi le mamme allattassero al seno in maniera esclusiva. La somministrazione di formula in attesa della montata lattea e la sua prescrizione al momento della dimissione, sono correlate con un decremento nella percentuale di allattamento materno.
Questa indagine sembrebbe dunque prospettare una correlazione tra il non prescrivere latte artificiale alla dimissione e il non fornire informazioni circa il suo utilizzo e l'allattamento al seno.
http://italia.danone-institute.com/progress/allattamento2.html
In Italia sembra che sia abbastanza soddisfacente la percentuale di donne che allattano al seno all'inizio del puerperio, ma che tale allattamento si protragga per un periodo troppo breve.

Sorgono dunque delle perplessità sia sull'utilità di alcune misure proibitive, che di natura regolamentatoria dei prezzi. Strategie di informazione positiva sull'allattamento al seno, fatte a tutti i livelli: mass media, gestazione, preparazione al parto, degenza ospedaliera e puerperio potrebbero, come già registrato in altri paesi, promuovere una pratica più protratta dell'allattamento al seno. Certamente da un punto di vista teorico l'alto costo del latte artificiale potrebbe rappresentare una spinta verso l'allattamento al seno. Attenzione dunque che in nome di alcuni nobili principi, non si finisca per peggiorare la situazione! Forse sarebbe più opportuno riflettere su questo piuttosto che accusare il Ministro Sirchia, come riportato dall'Unità del 02/11/2004, di voler fare uno spot alle multinazionali nell'atto di convincerle a ridurne il prezzo.

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AA4 Quel virus sintetico che ci avvicina alla creazione dell'uomo (di Massimiliano Fanni Canelles)

L'uomo sta raggiungendo le capacità del suo creatore. Oggi è in grado di costruire una vita diventando a sua volta il Dio di nuovi esseri ed in seguito il passaggio a forme di vita più complesse potrebbe essere solo formalità. Le notizie apparse recentemente sulla "costruzione" di virus in laboratorio spingono i nostri pensieri verso fantasie fantascientifiche che sconfinano con il soprannaturale. Già nel 2002 il mondo scientifico mondiale era stato messo in allarme da una notizia comparsa sulle prime pagine dei giornali americani che segnalava come un gruppo di ricercatori aveva assemblato in modo artificiale il virus della poliomelite. Un nuova forma di vita costruita ad immagine e somiglianza di quella già esistente; processo questo che è stato anche alla base della "creazione" di PhiX, un virus sintetico identico a quello naturale, uscito recentemente dai laboratori dell'università del Maryland.
Ma cosa si intende per essere vivente e cos’è un virus? La vita come noi la conosciamo esiste in funzione della replicazione dell’essere, cioè solo chi è in grado di generare una progenie può essere considerato un essere vivente. Ed è proprio l’essere vivi che permette all’organismo di potersi adattare alle mutazioni dell’ambiente. Il regno vegetale ed animale evolve perché figlia, quindi perché vive. Un vantaggio indiscutibile che ha però nella morte dei singoli organismi il rovescio della medaglia. Gli elementi del regno minerale invece sono statici, non si duplicano, non figliano, quindi non vivono e di conseguenza non muoiono. Una legge inderogabile alla quale però un piccolo essere non vivente riesce a sfuggire: il virus. Questo ha la staticità del regno minerale, non muore e quindi non vive fino a quando non incontra un organismo superiore. Come i cristalli i virus rimangono inalterati nel tempo fino a quando il loro involucro entra in contatto con una cellula animale o vegetale. Quando questo avviene l’involucro spinge all’interno della cellula ospite un piccolo codice genetico. Il virus quindi muore perché si priva dell’unica molecola che possiede, ma con questa operazione costringerà la cellula "infettata" a costruire nuovi virus che in seguito la uccideranno per uscire.
L’importanza dei metodi che da circa un anno vengono messi appunto per la sintesi artificiale di virus è dovuta al fatto che nulla di naturale viene utilizzato per il loro assemblaggio. Fino ad ora per creare un virus in laboratorio si introduceva in cellule animali o batteriche una sequenza di geni virali e si aspettava che la cellula costruisse nuovi virus. Oggi invece non abbiamo più bisogno di una mamma-cellula per fare questo, siamo in grado in laboratorio di costruire le scatole di contenimento e di introdurre all’interno i codici genetici che vogliamo senza utilizzare la sintesi proteica della cellula.
Questo ci permette virtualmente di ottenere qualsiasi tipo di virus, ma se l’involucro che costruiamo non ha la forma esatta per attaccarsi alla superfice della cellula che vogliamo "colpire" la nostra costruzione sarà molto più simile ad un minuscolo sassolino che ad una piccola forma di vita. Infatti se il virus sintetizzato non sarà in grado di attaccarsi ad una parete cellulare non potrà duplicarsi e quindi non potrà vivere.
Le potenzialità di queste tecniche in campo medico sono molteplici, all’interno di virus artificiali, opportunamente costruiti per attaccarsi, e quindi infettare cellule bersaglio, possono essere inseriti i codici genetici mancanti o terapeutici necessari alla cura di varie malattie. La difficoltà attuale è quella però di costruire degli involucri capienti e capaci di poter interagire con le pareti cellulari umane ma diversi da quelli naturali già esistenti. Prospettive affascinanti che stanno suscitando l'interesse del governo statunitense e l’inquietudine di scienziati che vedono i finanziamenti a queste ricerche un trampolino di lancio verso nuove strategie terapeutiche ma anche verso nuove strategie militari.
Quello che l’uomo sta costruendo nei laboratori è quindi molto più simile ad una costruzione di "meccano" che ad una nuova forma di vita. L’uomo non è un Dio e prima di tutto deve imparare il rispetto, poi assumere l’umiltà e la conoscenza dei processi naturali tenendo ben presente le conseguenze di quello che può accadere continuando a giocare a fare il Dio.

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AA5 Rofecoxib: doveva essere ritirato prima? La saga continua... (di Luca Puccetti)

In un lavoro pubblicato anticipatamente ed interamente on line alcuni ricercatori dell'Università di Berna e Paul Dieppe, dell'Università di Bristol riaccendono le polemiche fornendo i risultati di una metanalisi sulla correlazione tra rofecoxib e infarto miocardico. Gli Autori affermano che il farmaco avrebbe dovuto essere ritirato anni prima e che il rischio di infarto non si verificherebbe solo dopo impiego prolungato del farmaco. L'indice viene dunque puntato sia contro l'Azienda produttrice che contro gli Enti regolatori che avrebbero omesso di effettuare un monitoraggio continuo e di aggiornare i dati con i risultati degli studi che via via erano pubblicati. La Merck ha risposto prontamente criticando la metodologia della metanalisi e accusando gli autori di non aver considerato tutti i dati.

Sono stati identificati 18 studi randomizzati controllati e 11 osservazionali. Per la fine del 2000 (52 infarti miocardici, 20742 pazienti) il rischio relativo considerando gli studi controllati era 2,30 (95%CI 1,22-4,33, p=0,010) un anno dopo (64 eventi, 21432 pazienti) era 2,24 (1,24-4,02, p=0·007). Vi erano scarse possibilità che rischio relativo differisse a seconda del tipo di gruppo di controllo (placebo, non-naprossene FANS, o naprossene; p=0,41) o della durata del trial (p=0,82). Negli studi osservazionali, l'effetto cardioprotettivo del naprossene era piccolo (valutazione cumulativa 0,86 [ 95%CI 0,75-0,99 ]) e non avrebbe potuto spiegare interamente i risultati dello studio VIGOR. Questi dati indicano, secondo gli autori, che il rofecoxib sarebbe dovuto essere ritirato parecchi anni prima.
Fonte: Lancet 2004 pubblicato on line
Link: http://image.thelancet.com/extras/04art10237web.pdf

commento di Luca Puccetti

Le accuse contenute nell'editoriale sono gravi. Gli autori sostengono che le evidenze per ritirare o sospendere il rofecoxib erano già presenti dal 2000. Sostengono anche che il rischio si evidenziava anche dopo pochi mesi di assunzione e non solo dopo 18 mesi come risultato dallo studio APPROVe. Affermano che i loro risultati non sostengono l'ipotesi che la tossicità cardiovascolare del rofecoxib sia dose-dipendente (ricordiamo che la somministrazione di 50 mg/die era stata limitata a 5 giorni). Ancor più grave il sospetto avanzato dagli autori che non ci sia stata una corretta classificazione degli eventi avversi quando il comitato di verifica non era indipendente. Ancora, per gli autori l'effetto cardioprotettivo del naprossene se c'era era piccolo e non sufficiente a spiegare completamente i risultati del VIGOR. sempre secondo gli autori le metanalisi condotte finora, che non avevano rilevato un rischio del rofecoxib rispetto ai FANS diversi dal naprossene o rispetto al placebo, sarebbero viziate dal fatto di aver considerato un end point composito oppure da un'inadeguata composizione del pool di pazienti da ottoporre alle metanalisi. Addirittura, e questo è davvero singolare, sostengono che il concetto della superiorità delle metanalisi di pazienti sulle metanalisi di studi debba essere rivisto alla luce dei loro risultati. Di particolare interesse è il fatto che gli autori non hanno trovato un aumento significativo di ictus (che è stato poi il motivo del ritiro). Gli autori sostengono inoltre che i trials su rofecoxib sono stati condotti su popolazioni a basso rischio di malattie cardiovascolari, mentre nella pratica questa molecola è largamente usata da soggetti ad alto rischio. Pertanto, facendo riferimento ai dati del Tenessee, il rischio di un infarto ogni 556 pazienti riscontrato nei trials diventerebbe uno ogni 70 nella popolazione che ha assunto nella pratica clinica il farmaco. Gli autori concludono accusando sia la Merck che la FDA di aver tardato a ritirarare/sospendere il farmaco.
La risposta non si è fatta attendere. La Merck ha prontamente replicato pubblicando sul suo sito internet una serie di valutazioni che smontano i risultati dello studio di Juni e collaboratori bollato come metodologicamente inadeguato e incompleto di alcuni importanti dati che porterebbero a conclusioni assai diverse.
http://www.merck.com/statement_2004_1105/lancet.pdf
La Merck accusa gli autori di aver compiuto il classico errore di sommare le pere alle mele. Infatti sarebbe stato usato un test statistico inadeguato ad escludere che tra Naprossene e gli altri FANS di comparazione sussistessero differenze per quanto attiene l'incidenza di infarto miocardico. Quindi proprio per aver usato un test inadeguato gli autori avrebbero erroneamente concluso che la frutta fosse tutta composta da mele invece, secondo la Merck, usando un test statistico adeguato come l'analisi del rischio proporzionale ci Cox su dati cumulativi di pazienti e non di studi, sarebbe chiara la differenza tra naprossene ed altri FANS e quindi sarebbe scorretto mescolare tutto e da questo trarre le conclusioni. La Merck fa inoltre notare che Juni e coll. non avrebbero considerato tutti i dati disponibili, omettendo (volontariamente?) i risultati dello studio del rofecoxib che è stato comparato con placebo nell'Alzheimer.
http://www.fda.gov/ohrms/dockets/ac/01/briefing/3677b2_01_merck.pdf
In questo studio 2000 pazienti sono stati trattati con rofecoxib o placebo per un anno e si sono verificati 9 infarti nel gruppo rofecoxib e 12 nel gruppo placebo. Da notare che questi dati sono stati disponibili dopo quelli del VIGOR. Pertanto la Merck conclude che nonostante che anche i dati dello studio di Juni e coll. dimostrino che non c'è differenza tra rofecoxib e placebo o tra rofecoxib e FANS diversi dal naprossene per quanto concerne l'incidenza di infarto e che le uniche differenze emergano solo nel confronto con il naprossene, tuttavia, si sia
proceduto a mettere insieme dati non omogenei arrivando pertanto ad una conclusione basata su un metodo scientificamente inappropriato.
La Merck ribadisce che solo dopo 18 mesi di assunzione del rofecoxib, per la prima volta è emersa nello studio APPROVe una differenza significativa con il placebo e che da quando ciò è stato appreso la Merck ha impiegato una sola settimana a decidere il ritiro dal mercato.

Queste argomentazioni non mancheranno di destare l'interesse dei legali che da una parte e dall'altra si stanno preparando alla class action multimilardaria. Ma un'altra notizia rialimenta le speranze dei fautori dei coxib allontanando il sospetto che la tossicità cardiovascolare sia un effetto di classe.
Come è noto alcuni editoriali, anticipati con enfasi sul NEJM avevano adombrato, senza tanti complimenti, il sospetto che la tossicità del rofecoxib fosse in realtà dovuta ad un effetto di classe in quanto l'inibizione selettiva della COX2 sposterebbe la bilancia tra trombossano e prostaciclina provocando un rischio maggiore di trombosi. Altri autori avevano sollevato dubbi su questa ipotesi sostenendo che molti dati di studi clinici pubblicati non supportano affatto una tale interpretrazione. Adesso è stato pubblicato su Atherosclerosis 2004, 177: 235-243 un articolo nel quale si sostiene che solo il rofecoxib ha una struttura molecolare (sulfone) tale da ossidare le LDL e inibisce l'attività antiossidante naturale del plasma, mentre altri coxib (come celecoxib, valdecoxib) o FANS non eserciterebbero questo effetto. Consci dell'importanza dei risultati gli autori hanno voluto che i loro risultati fossero controllati da un laboratorio indipendente della Tuft University. Sembra che gli autori non abbianmo ricevuto incarichi o grants per questo studio che avrebbero condotto in modo indipendente.
Ma.. tanto tuonò che piovve... La FDA ha deciso di affidare ad un'Istituto di Medicina un programma per valutare il proprio metodo di lavoro circa i farmaci e per selezionare ed aggregare dati provenienti da revisori scientifici esterni alla FDA da sottoporre alla FDA medesima. Insomma la FDA si mette in discussione....

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MEDICINA LEGALE E NORMATIVA SANITARIA
Rubrica gestita da D.Z. per ASMLUC
: Associazione Specialisti in Medicina Legale Università Cattolica

ML1 Il medico e' innocente se il suo intervento non ha possibilita' di successo (Sentenza)
Se l' intervento medico non ha possibilita' di successo, il sanitario non risponde dell' insuccesso terapeutico.

Questo principio, apparentemente banale ma spesso disatteso dalle Corti di merito, e' stato confermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 19133/2004 (III sez. civile) ha affermato che il medico non risponde di malpractice se si prova che il suo intervento, correttamente svolto, non avrebbe comunque avuto apprezzabili possibilità di successo.
I fatti: i genitori di una bimba, nata prematura (alla 33esima settimana) e diventata cieca per una retinopatia si sono rivolti ai magistrati sostenendo che la cecità era dovuta alla mancanza di cure appropriate e di accertamenti clinici.
Il Tribunale aveva condannato la ASL al risarcimento dei danni, ma la sentenza di primo grado era stata poi ribaltata in appello, in quanto la Corte ritenne non provato il nesso di causalita' tra l’omissione del controllo oculistico e la cecita' insorta successivamente.
I genitori ricorrevano in Cassazione, sostenendo che la bambina era stata sottoposta a ossigeno-terapia (possibile causa di retinopatia) ma che non era stata sottoposta ad adeguati controlli oculistici per cui non si era potuto provvedere a iniziare eventuali terapie idonee ad evitare o diminuire la cecita'.
La Suprema Corte ha confermava invece la sentenza d' Appello: «Per affermare la responsabilità dell’ente e dei suoi sanitari - afferma la Cassazione - non è sufficiente dimostrare l’omesso espletamento della visita oculistica sulla neonata, ma è indispensabile provare che, se anche la visita fosse stata espletata e la retinopatia fosse stata diagnosticata, le terapie che ne sarebbero seguite avrebbero avuto un’apprezzabile probabilità di successo». Invece tale prova era « del tutto mancata», in base alle affermazioni del Consulente Tecnico, espressosi in senso negativo circa la possibilita', con i trattamenti dell' epoca (chirurgia, laserterapia e crioterapia) di evitare o lenire la cecità.

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ML 1a Privacy: prorogato il termine per il Documento Programmatico della Sicurezza
Le misure minime di sicurezza per la protezione delle banche dati, previste dal Codice della Privacy, slittano al 30 giugno 2005. Lo prevede l’art. 6 del Decreto Legge 09/11/2004 n. 266 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. n. 264 del 10/11/2004. La proroga riguarda la redazione del DPS ossia il Documento Programmatico sulla Sicurezza, che deve essere adottato da tutti i soggetti che gestiscono dati sensibili o giudiziari. Nella previsione originaria del Codice, il DPS avrebbe dovuto essere redatto entro il 30 giugno scorso, poi tale termine fu prorogato al 31 dicembre di quest’anno. Adesso una nuova proroga motivata dal fatto, si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione, che la redazione del DPS richiede “adempimenti complessi” e la “predisposizione di un sistema di protezioni e chiavi d’accesso ancora in fase di realizzazione”.
(Fonte: G.U. del 10/11/2004 e Il Sole 24 Ore dell’11/11/2004)

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ML4 - Il Documento Programmatico sulla Sicurezza: una formalita', ma fino ad un certo punto

Da molte parti si sono levate voci preoccupate in merito alla stesura del famoso (o famigerato) DPS (Documento Programmatico della Sicurezza), obbligo che la recente legge sulla privacy metta a carico anche dei medici che gestiscano uno studio professionale o un ambulatorio.
A complicare le cose, e' intervenuta la recentissima " Guida operativa per redigere il Documento programmatico sulla sicurezza (DPS)" pubblicata sul sito del Garante.
Fortunatamente il Garante stesso specifica chiaramente che si tratta solo di un' indicazione, e che non e' vincolante!
La suddetta Guida (che qualcuno puo' supporre nata allo scopo di complicare le cose semplici) si dilunga infatti per ben 18 pagine, gettando nello sconforto i poveri lettori e dettagliando tutto con estrema pignoleria: basti pensare che, nell' elencazione dei rischi prevede, per esempio, "movimenti tellurici, scariche atmosferiche, incendi, allagamenti" eccetera.
Viene da chiedersi perche' non includere anche l' asteroide che scende dallo spazio o un' eventuale guerra atomica. E viene da chiedersi quali provvedimenti si aspetta il Garante che prenda un povero medico di famiglia al fine di neutralizzare tali eventi...
Alla fin fine pero', a guardar bene, quelle 18 pagine non fanno che dettagliare una cosa molto semplice: bisogna descrivere: La tipologia della struttura (studio medico); i dati che vengono trattati (dati personali e sanitari dei pazienti); quali sono i rischi a cui sono soggetti (sottrazione, consultazione illecita, alterazione, perdita e altro che certamente verra' in mente); quali misure vengono prese per ovviare (porte e cassetti con chiusura a chiave, computer con password, copie di backup cifrate e protette con pw, accesso limitato agli operatori, misure contro la negligenza della segretaria ecc.).
Alla fine, a ben guardare, quindi, tutto cio' si riduce a quei moduli-guida che da piu' parti (anche dal sottoscritto, v. ad es. http://www.scienzaeprofessione.it   ) sono stati diffusi. Ma nessuno di questi moduli (nemmeno quelli delle piu' alte autorita') gode di assoluta autorevolezza, in quanto ciascuno deve adattarne il contenuto alla propria situazione locale e, soprattutto, deve applicare quanto vi e' scritto.
Il vero problema, infatti, non e' quello di compilare un documento "di fantasia", piu' o meno bello esteticamente o sintatticamente, quanto quello di compilare un documento che, ad una eventuale verifica, dimostri di corrispondere alla verita'.
L' importante, infatti, e' che i dati vengano effettivamente protetti da intrusioni, alterazioni, perdite.
E' perfettamente inutile o addirittura controproducente compilare un modulo perfetto e poi lasciare le ricette in vista di tutti nella "cassettina" della sala d' aspetto, oppure lasciare il computer acceso in modo tale che estranei possano spiare i dati clinici di qualche paziente.
Questo e' il vero problema.
Il Garante ha preannunciato che pubblichera' presto dei moduli "standard" per le varie necessita'. Nell' attesa, pero', e' utile che ciascuno riempia il proprio modulo, sostituendolo eventualmente in epoca successiva.

Daniele Zamperini

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ML5  Tassa sulle targhe professionali: e' illegittima ma qualcuno ancora ci prova

Diffondiamo il testo di un esposto presentato dal Presidente della FNOMCeO Del Barone contro una Societa' che pretendeva la riscossione della tassa.

" Con riferimento alla comunicazione n. 84 del 9 settembre c.a., si comunica a tutti gli Ordini professionali che la Federazione ha ritenuto di formulare un esposto - che si allega - alla Commissione per la tenuta dell'Albo delle società incaricate della riscossione delle imposte comunali presso il Ministero dell'Economia per sottoporre la questione relativa l'ICA s.r.l. stante l'invio, da parte della suddetta società, ai medici, di avvisi di accertamento con immediata irrogazione delle sanzioni per il non pagamento dell'imposta sulla pubblicità delle targhe.
Cordiali saluti.
Il Presidente
Giuseppe Del Barone

Disciplina tributaria delle targhe e delle insegne esposte dai professionisti per l'individuazione della sede dello svolgimento dell'attività - esposto contro l'ICA s.r.l.

MINISTERO DELL'ECONOMIA
Commissione per la tenuta dell'Albo delle società
incaricate della riscossione delle imposte comunali
VIALE EUROPA
ROMA EUR

La Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri chiede a Codesta spettabile Commissione di verificare il comportamento dell'ICA s.r.l., concessionaria di accertamento e riscossione dell'imposta sulla pubblicità e dei diritti delle pubbliche affissioni.
L'ICA, come da nota del 22 luglio 2004 (all.1), ha comunicato all'Ordine provinciale di Reggio Emilia che, in ambito di disciplina tributaria delle targhe e delle insegne dei professionisti, le targhe esposte dei medici debbano essere tassate adducendo una serie di argomentazioni che disconoscono la chiarissima Circolare n.3/DPF del 3 maggio 2002 del Ministero dell'Economia e delle Finanze nel punto in cui è esplicitamente sottolineato che "godono del beneficio dell'esenzione dal pagamento dell'imposta comunale sulla pubblicità e del canone di installazione dei mezzi pubblicitari - ex art.2 bis della Legge 75/02 - i mezzi pubblicitari esposti dai professionisti (medici ecc.)... in quanto assolvono al compito di individuare la sede dove si svolge un'attività economica".
La FNOMCeO, con nota del 28 giugno c.a. (all.2), chiedeva all'Ufficio Federalismo Fiscale del Ministero dell'Economia autorevole conferma dell'interpretazione in merito all'estensione del beneficio dell'esenzione in oggetto per i mezzi pubblicitari esposti dai professionisti che nello specifico sono costituiti dalle targhe e dalle insegne.
Con nota del 30 luglio c.a. (all.3) il Ministero rispondeva ribadendo il principio contenuto nella Sua Circolare n.3 e puntualizzava che le targhe esposte dai professionisti rientrano nel dispositivo di cui all'art. 47 del DPR495/92 che detta la definizione di insegna di esercizio in quanto assolvono al compito di individuare la sede ove si svolge un'attività economica.
Con successiva nota del 5 agosto c.a. (all.4) l'Ordine provinciale di Vicenza, chiedendo chiarimenti alla Federazione su quale comportamento suggerire ai propri iscritti ha informato la FNOMCeO che l'ICA stava inviando ai medici iscritti al proprio albo degli avvisi di accertamento con immediata irrogazione delle sanzioni per il non pagamento dell'imposta sulla pubblicità delle targhe.
La Federazione ritiene pertanto che la richiesta di Pagamento dell'imposta sulla pubblicità delle targhe, effettuata dall'ICA agli iscritti degli Ordini provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri, sia del tutto illegittima e chiede a Codesta autorevole Commissione di verificare il comportamento della suddetta Società e di intervenire per quanto di propria competenza affinché cessino le richieste di pagamento di un'imposta che i nostri professionisti non devono pagare.
Rimanendo a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento e ringraziando per un sollecito riscontro si inviano i più cordiali saluti.
Il Presidente
Giuseppe del Barone"

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ML1/b  Il medico e la legge: cap. 3Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: 
distinzione e tentativi di superamento
(Avv. Nicola Todeschini)

Le due ipotesi di responsabilità per danni che qui interessano, quella contrattuale e quella extracontrattuale, sono tradizionalmente distinte e contrapposte per la differente disciplina che le caratterizza, anche se non mancano in dottrina tentativi di superamento della distinzione in oggetto.
Accennerò brevemente alla distinzione per chiarire i punti della successiva analisi.
Si ha illecito extracontrattuale -o aquiliano, dal nome della Lex Aquilia che disciplinava nel diritto romano tale responsabilità- quando sussista la violazione di un diritto o di una situazione giuridica tutelata in modo assoluto -erga omnes-, mentre si ha responsabilità contrattuale -o da inadempimento- quando ci si trovi al cospetto della violazione di un diritto relativo[1].
Si deve tenere presente che comunque l'espressione "contrattuale", riferita alla seconda delle due ipotesi di responsabilità, non deve far pensare alla necessaria sussistenza di un contratto, integrandosi gli estremi della categoria di responsabilità in oggetto anche quando si verifichi comunque l'esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio, a prescindere dalla fonte dell'obbligo violato: delitto, contratto, atto unilaterale, o altro.
            Peraltro, la chiarezza della distinzione parrebbe offuscata dal costante estendersi della sfera di responsabilità contrattuale[2], soprattutto quando si ponga attenzione agli artt. 1374 e 1375 cod. civ.[3], che rispettivamente disciplinano l'integrazione del contenuto obbligatorio del contratto -relativa alle conseguenze derivanti dalla legge, o in mancanza dagli usi e dall'equità- nonché l'esecuzione secondo buona fede. Nella misura in cui quest'ultima risulta decisiva per la determinazione del contenuto dell'obbligazione, risulta agevole apprezzarne il contributo alla forza espansiva della relativa responsabilità ex contractu.
            Le rilevanti differenze di disciplina che si sogliono ricollegare alla succitata distinzione, abbracciano sia l'onere della prova che il termine prescrizionale della relativa azione di responsabilità, nonché gli effetti giuridici relativi al risarcimento del danno.
Quanto alla prima delle tre differenze, l'onere della prova nell'illecito contrattuale è caratterizzato dalla presunzione di colpa nel caso d'inadempimento, superabile solo ove il debitore provi che l'inadempimento o il ritardo non sono a lui riferibili per impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Pertanto all'attore sarà chiesto di provare il suo credito e la scadenza dell'obbligazione, mentre sarà il debitore che dovrà dimostrare l'impossibilità della prestazione per una causa a lui non imputabile per potersi liberare da responsabilità. Nell'illecito extracontrattuale l'onere della prova non è caratterizzato dalla presenza della presunzione, ma dall'osservanza della regola di principio secondo la quale l'onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa spetta a colui che l'avanza: è su colui che pretende il risarcimento dei danni che grava il relativo onere. Cosicché l'attore dovrà provare che il comportamento del convenuto gli ha provocato un danno e che tale comportamento è stato caratterizzato da dolo o colpa (salvi i casi di c.d. responsabilità aggravata o per fatto altrui)[4].
            Venendo ora alla seconda delle differenze succitate, in specie quella inerente al termine prescrizionale, l'azione di responsabilità per l'illecito extracontrattuale si prescrive in cinque anni, mentre quella per l'inadempimento dell'obbligazione nell'ordinario termine decennale.
            Quanto alla determinazione del danno risarcibile, vi è un ulteriore differenza da apprezzare, ricollegata al mancato richiamo, nell'art. 2056 cod. civ.[5], dell'art. 1225 cod. civ.[6]    Infatti l'art. 2056, disciplinante la valutazione dei danni nell'illecito extracontrattuale, richiama al I c. le disposizioni degli artt. 1223, 1226 e 1227 cod. civ.[7], relativi rispettivamente alla configurazione del risarcimento del danno emergente e del lucro cessante in quanto conseguenza immediata e diretta, la valutazione equitativa del giudice in mancanza della possibilità di provare il danno nel suo esatto ammontare, la proporzionale diminuzione del risarcimento dovuto per concorso colposo del creditore nonché, infine, l'esclusione del diritto al risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.
E' agevole pertanto notare, in questo breve excursus dei criteri di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, richiamati dall'art. 2056 cod. civ., la mancanza dell'ulteriore criterio della prevedibilità del danno di cui all'art. 1225 cod. civ., secondo il quale il risarcimento è limitato al danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l'obbligazione ove l'inadempimento o il ritardo non dipendano dal dolo del debitore. Sicché la limitazione ai danni prevedibili fissata dalla norma appena richiamata, non si applica all'illecito extracontrattuale; con riguardo a quest'ultimo la valutazione del danno risente piuttosto dell'esatta configurazione del criterio di causalità tra l'atto e l'evento dannoso, sul quale si svolgeranno osservazioni più approfondite nel paragrafo relativo.
            Peraltro, secondo alcuni[8], nell'ottica di una tesi di parziale vanificazione delle consistenti differenze di disciplina tra le due forme di responsabilità, la formulazione dell'art. 1225 cod. civ. consentirebbe, nonostante il suo mancato richiamo ad opera dell'art. 2056 cod. civ., l'estensione della norma anche all'illecito aquiliano sulla base della sussistenza dell'identità di ratio. A sostegno di tale argomentazione si cita anche il caso dell'affermata applicabilità dell'art. 2236 cod. civ. all'illecito extracontrattuale[9], precisando che il mancato esplicito richiamo della norma non significa l'affermazione dell'assoluta impossibilità di applicazione della norma stessa, non costituendo ostacolo insormontabile la semplice mancata indicazione.
            A prescindere dall'accennata contrapposizione dottrinale sull'asserita possibilità di superamento[10] della distinzione tradizionale tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, nel segno dell'auspicabile uniformità di disciplina, e venendo ad un ulteriore profilo attinente al tema di fondo, si discute in dottrina e in giurisprudenza sulla configurabilità del concorso delle due responsabilità.
Secondo un'autorevole Autore[11], coloro che in passato si sono pronunciati in senso negativo, fondando la loro argomentazione ora sulla forza assorbente dell'obbligazione, ora sul rischio che la tesi affermativa potrebbe compromettere l'efficacia del contratto, in realtà poggiano il loro pensiero su di un errore di prospettiva, al quale bisogna replicare osservando che i contraenti Qnon prevedono certo l'azione dannosa di uno di essi e le relative conseguenzef, pertanto non ne risulta in alcun modo compromessa l'efficacia del contratto; e ancora considerando la mancanza di incompatibilità tra i due rimedi, non appare giustificabile l'esclusione della ricorribilità ad entrambi.
            Ad una esclusione dell'ipotesi di concorso osta anche un ulteriore considerazione: ove ricorrano e i presupposti della responsabilità aquiliana e quelli della responsabilità contrattuale, non si vede per quale motivo l'interessato non possa scegliere quale rimedio esperire.
All'ulteriore obiezione secondo la quale il legislatore sancisce formalmente la possibilità di scelta tra due rimedi, quando intende concederla, si oppone, secondo l'Autore, una precisa replica: il legislatore prevede esplicitamente la possibilità di scelta quando la seconda ipotesi sia configurata come   speciale[12] rispetto a quella Qprincipalef, mentre in questo caso sussistono autonomi e indipendenti requisiti  per l'esercizio delle relative azioni.
Pertanto si deve concludere per la configurabilità del concorso di azioni, sussistendo in capo all'interessato la facoltà di esercitare sia la prima che la seconda delle azioni, ovvero assieme od alternativamente entrambe.[13]
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha poi sottolineato anche altri aspetti del problema, osservando che <<la deduzione degli estremi oggettivi e soggettivi della responsabilità è sufficiente ad indicare la "causa   petendi"  di entrambe  le  forme  di responsabilità>>[14], evitandosi in tal modo che la tutela del danneggiato, sotto il profilo dell'azione per responsabilità contrattuale, sia impedita dall'intervenuta prescrizione dell'azione di responsabilità extracontrattuale.
Altri autori hanno sostenuto che motivi per una soluzione opposta sarebbero da rinvenire nel principio secondo il quale la norma che tuteli in modo specifico un interesse prevarrebbe su altra disciplinante genericamente la difesa dell'interesse medesimo, e ancora che la situazione particolare esplicitamente voluta dalle parti, che si instaura con il contratto, assorbirebbe in essa la più generica tutela offerta da altre norme, conseguendone l'inapplicabilità del concorso.
A tali posizioni ha replicato peraltro il De Cupis[15], osservando come non appaia giustificabile la tesi della specialità della tutela apprestata in modo specifico da talune norme con forza esclusiva dell'altra garantita da norme generali, poiché non si vede come potrebbe ritenersi implicitamente posta una rinuncia alla tutela generale -ex art. 2043 cod. civ.-  per il solo fatto di aver concluso un contratto, costituendo quest'ultimo un mezzo per conseguire un rafforzamento, non già un esclusione, della propria tutela giuridica.
            A margine delle osservazioni sopra illustrate, può essere interessante affrontare un caso specifico[16], per la soluzione del quale la Suprema corte di Cassazione ha operato in modo da avvallare le tesi qui precedentemente prospettate.
Si tratta del delicato caso di un neonato che ha subito un danno cerebrale dovuto alla prolungata permanenza del feto nel corpo materno. Tale danno sarebbe stato evitabile operando attraverso un taglio cesareo tempestivo. La sentenza del Tribunale di Torino, fondandosi sull'applicabilità dell'art. 1 cod. civ., negava la responsabilità contrattuale dell'ente ospedaliero, in quanto il soggetto passivo non avrebbe potuto concludere validamente un contratto con l'ente medesimo prima della nascita; al contrario, riteneva sussistente una responsabilità extracontrattuale, peraltro non più azionabile per l'intervenuta prescrizione.
La Corte d'Appello di Torino, investita in secondo grado, negava la sussistenza di entrambe le responsabilità, sostenendo che il fatto della nascita si qualificava come presupposto ineliminabile per l'acquisto della capacità giuridica, non sussistendo la quale nessuna azione poteva essere esercitata. Appare in tutta la sua evidenza la delicatezza che la fattispecie sottoposta alla Corte di Cassazione manifestava.
La scelta operata dai giudici della Suprema Corte ha adottato percorsi diversi, identificando anzitutto il verificarsi del danno solo in parte al momento precedente la nascita, sostenendo piuttosto il suo verificarsi con la nascita, andando pertanto ad incidere su di un soggetto giuridicamente capace. A fronte di una situazione particolare, nella quale non sussistevano comunque più gli estremi dell'azione di responsabilità extracontrattuale, data l'intervenuta prescrizione, la Corte ha giocoforza intrapreso la via dell'affermazione di una responsabilità contrattuale, in linea con le odierne tendenze, evitando però di configurare  un contratto a favore di terzo, bensì riconoscendo l'esistenza di una <<contratto con effetti protettivi a favore del terzo>>[17].
            Dagli elementi fin qui esposti, peraltro sommariamente, emerge una conseguenza interessante sotto il profilo dell'evoluzione delle forme di responsabilità, dovendosi notare come di fatto con questa pronuncia si sottraggano, alla consueta area dei danni da responsabilità extracontrattuale, fatti dannosi che al contrario vengono ricompresi nella categoria della responsabilità contrattuale, a conferma dell'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale in atto.

Avv. Nicola Todeschini
www.studiolegaletodeschini.it

membro dello Studio Legale Consumerlaw
(Per motivi di spazio le note bibliografiche sono reperibili, con il testo completo dell' articolo, su www.scienzaeprofessione.it e su www.pillole.org )


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ML3 - Il medico e la legge. Cap 4: L'art. 2236 cod. civ. e la sua applicabilità anche 
al di fuori dell'ambito civilistico (Avv. Nicola Todeschini)

L'art. 2236 cod. civ.[1] pone, come è noto, una limitazione di responsabilità del prestatore d'opera, circoscrivendola ai soli casi di dolo o colpa grave, qualora si trovi di fronte a problemi tecnici di speciale difficoltà.
Come osservato da M. Zana [2], la norma, ad una prima lettura, da un lato sembra in contrasto con un'interpretazione rigida dell'art. 1176 cod. civ., dall'altro non sembra accettabile che si preveda, in senso generale, un limite di responsabilità proprio a fronte di problemi di particolare incidenza, tanto più nel nostro caso, su interessi sì rilevanti del danneggiato.
A ben vedere, peraltro, la giurisprudenza[3] e la migliore dottrina hanno operato, all'interno della previsione dell'art. 2236 cod. civ., una distinzione che merita di essere ricordata: la norma  si applicherebbe soltanto quando in discussione sia la perizia del professionista, non quando, al contrario, ci si trovi di fronte all'imprudenza o all'incuria, auspicandosi, in relazione a queste ultime, giudizi <<improntati a criteri di normale severità>>[4].
Ma cosa si intende <<per problemi tecnici di speciale difficoltà>> ?  Con riferimento alla professione intellettuale che qui interessa, quella medica, integrano l'astratta previsione normativa i casi che, per essere stati oggetto, nella stessa letteratura medica, di dibattiti e studi dagli esiti tra loro opposti, per la novità della loro emersione, ovvero per essere caratterizzati dalla straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi, non possono considerarsi ricompresi nel doveroso -rectius diligente- patrimonio culturale, professionale e tecnico del professionista, avuto riguardo, anche in questo caso, alle peculiarità del settore ove svolge la sua attività, e ad uno standard medio di riferimento[5].
Anche in questo caso quindi, la previsione legislativa deve di volta in volta trovare il suo contenuto peculiare, giacché sono comunque diverse le caratteristiche salienti delle categorie alle quali appartengono i prestatori d'opera, ed essendovi anche all'interno di ognuna, tanto più in quella medica, delle specialità che meritano di essere trattate apprezzandone, per l'appunto, gli aspetti caratterizzanti.
A questo proposito può essere ricordata una delle comprensibili doglianze di coloro che vengono interessati da procedimenti relativi alla responsabilità professionale, ossia quella della mancanza di uniformità, nelle varie sedi giudiziarie, quanto a preparazione specifica dei magistrati e dei consulenti ai quali si affidano. Certo anche questo spunto critico, già sottolineato in precedenza, non mancherà di suscitare perplessità, ma ritengo debba essere preso in considerazione essendo comunque un problema pratico riscontrato sul campo.
Quanto all'applicabilità delle limitazioni di responsabilità anche alla responsabilità extracontrattuale, in senso affermativo si sono pronunciate dottrina[6] e    giurisprudenza[7].
In riferimento all'applicabilità anche in sede penale del principio della responsabilità limitata alla colpa grave in caso di lesioni o morte come conseguenza dell’esercizio dell'attività professionale, qui per inciso intendo fare breve accenno alla risposta affermativa che in dottrina alcuni[8] danno, nonostante già la Cassazione penale[9] abbia sostenuto l’inapplicabilità del principio di cui all'art. 2236 cod. civ., basandosi sull’art. 43 cod. pen., in forza della previsione, ivi contenuta, della semplice colpa lieve.
Come rilevato dal Finucci[10], tale posizione non è condivisibile alla luce del principio di unità e razionalità dell’ordinamento giuridico, che verrebbe altrimenti disatteso, senza sottacere le potenziali soluzioni aberranti che potrebbero derivarne quanto al contrasto di giudicati, in considerazione degli artt. 74 e segg., nonché 651 cod. proc. pen.
Al contrario sembra preferibile l’opinione di chi sostiene la necessità di ricercare, proprio negli artt. 2236 e 1176, II c., cod. civ., l’integrazione soggettiva della fattispecie di reato sotto il profilo della colpa professionale grave.
In questo senso, seppur con parziale diversa impostazione, pare muoversi la giurisprudenza più recente[11].

 Avv. Nicola Todeschini
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ML3/b Il medico e la legge. Cap 5 Spunti di riflessione sul concetto di diligenza (Avv. Nicola Todeschini)

 Il concetto di diligenza, richiamato dall'art. 1176 cod. civ.[1], riassume in sé il complesso di cure e cautele che dovrebbero fondare il comportamento di ogni debitore al momento di soddisfare la propria obbligazione, avuto riguardo alla natura del particolare rapporto e alle circostanze di fatto che lo caratterizzano. Come chiarisce Rodotà[2], pur essendo il concetto di diligenza un criterio obiettivo, va visto ed interpretato nell'ottica del particolare rapporto, in funzione della sua specialità e della natura dell'attività esercitata, come prescritto dall'articolo sopra richiamato.
Inoltre è proficuo, secondo l'Autore citato, considerare i rapporti tra tale concetto e quelli di correttezza e buona fede, rispettivamente sanciti dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ.[3], per apprezzarne la reciproca interferenza. Infatti, sulla scorta delle analisi già di Betti[4], bisogna valorizzare i concetti di buona fede[5] e correttezza nella loro funzione di ampliare o rispettivamente restringere il contenuto degli obblighi letteralmente assunti mediante contratto, nei limiti in cui la loro attuazione possa essere in contrasto con i principi di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.   Così anche il riferimento alla correttezza verrebbe ad affiancarsi a quello della buona fede, come strumento per la definizione della reale portata del rapporto obbligatorio.
E' quindi il caso di appurare la consistenza dei rapporti che questi due ultimi concetti hanno con quello di diligenza. L'operatività dei criteri di buona fede e di correttezza si pongono su piani diversi rispetto a quello occupato dalla diligenza, essendone diversa la funzione[6]. Buona fede e correttezza si pongono infatti sul piano degli strumenti d'integrazione del contenuto dell'obbligazione, laddove la diligenza, al contrario, assolve alla funzione di valutare <<la conformità del comportamento del debitore a quello dovuto>>, non con funzione integrativa o correttiva, piuttosto delimitando <<ciò che deve ritenersi, in quel singolo caso, esatta prestazione>>.
Ecco quindi che la diligenza, così come descritta più sopra, viene a porsi, al cospetto del concetto di correttezza, come criterio guida per valutare in quali limiti vi sia stata violazione della correttezza medesima, fondando così il proprio ruolo di criterio di responsabilità.
Risulta confermata pertanto la valenza duplice[7] della diligenza, come parametro di imputazione del mancato adempimento, e quale criterio di determinazione del contenuto dell'obbligazione.
Si è osservato[8] anzi, in accordo con quanto fin qui esposto, che lo sforzo diligente del debitore deve prodursi sin dalle fasi c.d. preparatorie della prestazione, manifestandosi queste ultime come comportamenti nell'interesse altrui e pertanto già giuridicamente doverosi, in quanto preparano il terreno affinché la prestazione consegua il suo risultato. In quest'ottica rileva l'utilizzabilità, da parte del creditore, dei mezzi di difesa contro l'inadempimento, già nella fase preparatoria, ove essa manifesti caratteri di inadeguatezza o difettosità, potendosi così rifiutare a ragione una prestazione preparatoria di tali qualità, ovvero un inizio di prestazione tanto difettosamente preparata.
Un esempio che Bianca propone al fine di chiarire le osservazioni condotte, è quello della negligente messa a punto -si legga preparazione- del mezzo che dovrà trasportare il creditore; nel nostro caso potrebbe argomentarsi similmente la necessità di considerare disponibili per il paziente quei rimedi contro l'inadempimento, cui si è fatto poc'anzi riferimento, ove si verificassero le condizioni per affermare che, ad esempio, la fase pre-operatoria sia stata caratterizzata da comportamenti inadeguati e difettosi, secondo ciò che prescrive la miglior scienza e tecnica operatoria; o ancora, potrebbero integrarsi tali condizioni qualora l'applicazione di un gesso fosse stata preceduta dalla mancata sottoposizione ad adeguate e necessarie indagini radiografiche, ovvero quando la prescrizione di una terapia non sia stata preceduta dall'acquisizione di adeguate informazioni sullo stato di salute del paziente o sulla sua particolare sensibilità all'assunzione di farmaci specifici.
Considerando poi che l'importanza dell'interesse strumentale violato, potrebbe altresì legittimare già in questa fase la risoluzione del contratto per inadempimento, ove l'inadeguatezza e la difettosità della fase preparatoria facciano presumibilmente prevedere un esito finale negativo, si comprenderà che, nel caso della prestazione professionale del medico, essendo gli interessi del paziente in gioco -tutela del bene della salute- sì preminenti,  i principi suesposti potrebbero trovarvi applicazione precipua.
 Avv. Nicola Todeschini
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PROFESSIONE

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ML6 - Notificazione obbligatoria rosolia congenita

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ML6bis Il Presidente FNOMCeO Del Barone difende i medici dalle facili accuse

Maggiore prudenza nelle dichiarazioni sugli errori medici e sull'impegno degli Ordini professionali per arginare il fenomeno. Lo chiede il presidente della Federazione dell'Ordine dei medici (Fnomceo), Giuseppe Del Barone, in una lettera inviata al sottosegretario alla Salute Cesare Cursi che ha affermato, su alcuni organi di stampa, la necessita' di ridurre i casi di errore medico, ''veramente troppi'' secondo le denunce. Aggiungendo che ''bisogna coinvolgere direttamente l'Ordine dei medici che deve prendersi le proprie responsabilità'' e consigliato, sempre agli Ordini, un atteggiamento di severita' perche' si vedono ''pochissime risoluzioni, pochissime diffide, pochissime sanzioni e quasi nessun caso di radiazione dall'Albo. E questo non va bene''.

Nella lettera Del Barone ricorda a Cursi che, quando una sentenza in terzo grado ''e' negativa per il medico, l'Ordine fa immediatamente scattare le sanzioni previste che sono l'avvertimento, la censura, la sospensione sino a nove mesi o la radiazione. Inoltre il procedimento disciplinare, una volta iniziato, rimane aperto sino alla conclusione della causa penale che, in piu' del 90% dei casi si conclude in modo favorevole al sanitario''. Il camice bianco, inoltre, anche se assolto penalmente, ''puo' essere punito dall'Ordine - continua Del Barone - per mancanze contro la deontologia. Del resto, se l'Ordine adottasse provvedimenti contro un medico prima della sentenza e questa fosse poi di assoluzione, chi ne pagherebbe i danni?''. E il presidente della Fnomceo fa alcuni esempi.''Alla Asl Na 1 dove un medico, assolto mesi or sono, e' stato sospeso per sei mesi dall'attivita' convenzionale. I danni, se richiesti, sarebbero addebitati al direttore generale e allo Stato, cioe' a noi! Posso aggiungere inoltre il caso di cinque medici della Asl Sa 2 che, accusati, hanno ammesso la loro colpa di iperprescrizione farmaceutica e sono in attesa di provvedimenti da parte del presidente di quell'Ordine''.

(Fonte: Doctornews)

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ML7 - LE NOVITA' DELLA LEGGE (Di Marco Venuti)

 

PRINCIPALI NOVITA' IN GAZZETTA UFFICIALE
mese di ottobre-novembre 2004

La consultazione dei documenti citati, come pubblicati in Gazzetta Ufficiale, è fornita da "Medico & Leggi" di Marco Venuti: essa è libera fino al giorno 24.12.2004. Per consultarli, cliccare qui

DATA GU TIPO DI DOCUMENTO TITOLO DI CHE TRATTA?
21.10.04 248 Conferenza Stato-Regioni - Accordo 23.09.04 Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano su: «Linee guida sulle modalità di disciplina delle attività di reperimento, trattamento, conservazione e distribuzione di cellule e tessuti umani a scopo di trapianto», in attuazione dell'art. 15, comma 1, della legge 1° aprile 1999, n. 91 .............
21.10.04 248 Conferenza Stato-Regioni - Accordo 23.09.04 Accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano su: «Linee guida per la gestione delle liste di attesa e l'assegnazione degli organi nel trapianto di fegato da donatore cadavere» .............
25.10.04 251 Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze 18.05.04 Applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 50 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, concernente la definizione dei modelli di ricettari medici standardizzati e di ricetta medica a lettura ottica Nuove ricette mediche del SSN
04.11.04 259 Decreto del Ministero della Salute 14.10.04 Notifica obbligatoria della sindrome/infezione da rosolia congenita .............
04.11.04 259 Determinazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco 29.10.04 Note AIFA 2004 (Revisione delle note CUF) .............
10.11.04 264 Decreto-legge n. 266 del 09.11.04 Proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative Rinvio di alcune scadenze per quanto ad alcune incombenze relative al trattamento dei dati personali (articolo 6)
10.11.04 264 Comunicato dell'Agenzia Italiana del Farmaco 10.11.04 Comunicato di rettifica relativo alla determinazione 29 ottobre 2004, recante: «Note AIFA 2004 (Revisione delle note CUF)» Nota 89: abolizione del piano terapeutico
19.11.04 272 Determinazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco 18.11.04 Modifiche alla determinazione 29 ottobre 2004 «Note AIFA 2004 (Revisione delle note CUF)» Modificate le note 1, 13, 28 e 78 (allegato 1)
24.11.04 276 Deliberazione del Senato della Repubblica 17.11.04 Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale .............

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